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> Le Carovane dei Sogni > Il
Catalogo >
Il Testo Panini
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a
cura di Augusto Panini
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Introduzione |
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Perline di produzione neolitica
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Perline di produzione islamica e indiana |
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Perline di produzione europea |
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Il Magreb |
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Perline di produzione africana |
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Introduzione
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Nell’Africa
dei primi anni Ottanta, viaggiavo di frequente verso città esotiche
che mi erano pressoché sconosciute: Bamako, Cotonou, Ouagadougou,
Niamey, le capitali di stati africani dai nuovi nomi, grazie alla
recente indipendenza, come Benin (Dahomey), Mali (Africa Occidentale
Francese), Burkina Faso (Alto Volta), Niger (Sudan Francese).
Ogni
due mesi visitavo questi paesi per lavoro e, adattandosi al ritmo
africano, i miei soggiorni si prolungavano per parecchi giorni.
Questo prezioso tempo dilatato mi fece conoscere il territorio, gli
usi, le tradizioni. Ben presto, presi coscienza della storia
africana precoloniale che aveva le sue radici in epoche molto remote
e il suo apice in un periodo storico corrispondente al Medioevo
europeo. Le fonti d’informazione di questa storia erano i riti
ancestrali e le leggende che risalivano agli albori della comparsa
dell’uomo sulla terra,
In
questo vagabondare tra griot, féticheur e marabout, frequentavo i
fornitori delle testimonianze concrete degli antichi racconti e cioè
gli antiquaire che, abili commercianti, avevano sede nel mercato
principale della città. Qui, insieme ai mercanti di stoffe,
vettovaglie, spezie, ornamenti e quant'altro fosse vendibile, si
rinnovava ogni giorno il rito vivace e inesauribile dello scambio e
della contrattazione, una delle millenarie tradizioni d’Africa.
Il
marché rose di Bamako, in Mali, era certamente tra i più
affascinanti (ma purtroppo devastato dal fuoco nel 1994, con tutte
le testimonianze e i tesori che custodiva). Trascorrevo lunghe ore a
rintracciare testimonianze delle antiche civiltà che videro gli
imperatori del Mali governare tutta l’Africa occidentale,
commissionare moschee imponenti a Djenné e Tombouctou, compiere
pellegrinaggi alla Mecca di cui ancora oggi si favoleggia. Tra
queste testimonianze affidate a vasi e figure di terracotta, bronzi,
ferri forgiati, ornamenti di pietre più o meno preziose e pasta di
vetro, la mia attenzione si concentrò sulle collane che erano
offerte in gran numero, tanto da far ritenere che si trattasse
d’artigianato locale. Ma stupiva l’originalità non replicata
della produzione che esibiva ogni volta fili di perle vitree
diverse, tutte armoniose e ben patinate.
Ad
un esame attento delle perline vitree, dette anche grani o vaghi,
che costituivano queste collane, si intuiva non trattarsi di
ordinaria fattura locale e neppure di antica produzione indigena, ma
di materiali d’importazione europea, mediorientale, indiana ed
egizia di epoca tardoromana. Il confronto tra le perline del Mali e
quelle veneziane, siriane, persiane ed egiziane esposte nei maggiori
musei internazionali, confermò questa prima sensazione e presi atto
che sui mercati africani erano offerte, a fianco di collane di finto
avorio e corallo di plastica, collane infilate con perle vitree di
varia provenienza che circolavano in questi paesi da centinaia, se
non da migliaia, d’anni.
Fu
così che organizzai il primo viaggio in Mali, alla ricerca della
provenienza delle collane: dove, come e perché fossero raccolte e
quale significato avessero per le popolazioni che le usavano.
Il
punto di partenza fu il marché rose di Bamako, dove appresi che tre
ne erano le fonti:
-
i nomadi del deserto a nord di Tombouctou e Gao che trasportavano
grani di cornalina, quarzo ed amazzonite e pendenti di conchiglia
fossile, trovati in luoghi oggi sterili e desolati, ma che
quattromila anni or sono abbondavano d'acqua, di fiumi e di animali
selvatici, come testimoniano i graffiti rupestri dell'Adrar des
Iforas, dell'Hoggar e del Tassili;
-
i pastori Peul del Delta interno del Niger che, portando al pascolo
gli armenti tra le vestigia d'antichi insediamenti degli imperi del
Sudan, raccoglievano nelle necropoli dilavate dalle esondazioni del
Niger perline medioevali tratte dal corredo funerario degli antichi
abitatori degli imperi del Mali, del Ghana e del Songhai;
-
i Dogon dei villaggi più isolati che hanno conservato per centinaia
d'anni la loro identità al riparo da aggressioni mussulmane e
domini coloniali e solo ora sono costretti a mettere in commercio i
propri tesori per far fronte alla siccità, alle malattie o, ben più
crudelmente, dovendo abbandonare i loro villaggi divenuti invivibili:
in questo caso si tratta di perline veneziane, boeme e olandesi.
L’individuazione
di queste fonti svelò un enigmatico e luoghi inattesi, di scambi
commerciali in epoca medioevale tra il Mali, il Medio Oriente, il
Mediterraneo e l'India, di contatti con navigatori portoghesi fin
dal XVI secolo, di rapporti commerciali in epoca coloniale e fino ai
giorni nostri.
La
collezione di collane proposta in queste pagine scaturisce da oltre
due decenni d’esplorazioni sul campo, di ricerche nei mercati più
lontani e d’indagini presso raccoglitori africani nelle tre vaste
aree citate. Tutti gli esemplari, compresi i modelli più
enigmatici, provengono dalla terra d’Africa e costituiscono una
testimonianza certa dell’esistenza di tre periodi storicamente
definiti e identificabili per tipologia di materiale che rendono
agevolmente leggibile il percorso storico indicato.
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Perline di
produzione neolitica
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Al
neolitico si ascrivono le collane di quarzo, conchiglia fossile,
cornalina e amazzonite dalle regioni desertiche comprese tra le città
di Tombouctou e Gao e la regione sahariana dell'Adrar des Iforas.
Durante la transumanza, i nomadi Tuareg raccolgono sulla superficie
delle sabbie in perenne movimento i reperti d'antichissime presenze
che risalgono al periodo del Sahara fertile, tra il 6 000 e il 1 000
avanti Cristo.
Per
molti anni, il deserto della regione di Gao è stato studiato con
particolare attenzione ai laboratori di lavorazione delle perle di
cornalina e quarzo, alle fonti d'approvvigionamento della materia
prima e al loro riutilizzo in epoca moderna.
A
nordest di Gao, nel sito d'Ilouk, venne individuata un’importante
miniera di cornalina. All’esame del materiale trovato, si possono
decifrare senza troppi errori le tecniche d'estrazione: il distacco
del minerale avveniva per percussione diretta, probabilmente dopo
aver riscaldato il blocco originale, come si può dedurre dagli
attrezzi litici ritrovati in situ e dal craquelé riscontrato su
alcuni frammenti di scarto della lavorazione. Dopo la riduzione in
piccoli dischi, questi erano forati con attrezzi a percussione
laterale, operazione particolarmente delicata e aggressiva, dalla
percentuale di riuscita alquanto bassa, come si deduce dalla gran
quantità di grani spezzati ritrovati nel luogo.
Sede
di un'altra industria di perline di cornalina di buona qualità che
si differenzia dalle altre per il tipo di perforazione dei grani,
Taguelalt, a breve distanza da Talataye, presenta un'assenza totale
di vaghi finiti: questi si trovano solo nelle stazioni abitative,
nelle tombe e nei suq di Tombouctou e di Gao.
È
convinzione comune che le perforazioni lunghe, diritte e regolari
siano caratteristiche di perline non antiche, perché per ottenerle
sarebbe necessario l’impiego di una punta metallica. Si tratta di
un'opinione errata: il calcedonio (minerale della cornalina) di
durezza 7, non può essere perforato né dal bronzo né dagli acciai
moderni. Solo gli abrasivi al quarzo o al diamante possono
attaccarlo e proprio questa è la tecnica utilizzata a Taguelalt,
dove le perforazioni sono perfettamente cilindriche, senza
variazioni del diametro, a pareti perfettamente lisce, ottenute
tramite una punta di spina d'acacia con un abrasivo a pasta fine,
miscelato con grasso animale, e montata su un mandrino animato per
mezzo di un archetto.
L'amazzonite,
detta anche lo smeraldo dei Garamanti, si ritrova nelle stesse
stazioni abitative neolitiche e nelle tombe della regione di
Tombouctou e Gao, ma anche nelle località protostoriche d'Oudane in
Mauritania, sempre in grani singoli e in piccole quantità.
Le
collane di conchiglia fossile, rare in Mali, sono più frequenti in
Mauritania, dove si trovano giacimenti fossili presenti nelle
formazioni quaternarie (tra 39 000 e 29 000 anni a.C.).
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Perline di produzione islamica e indiana
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Successivamente
alle testimonianze riferite al periodo preistorico dell'area
sub-sahariana, si attesta un periodo oscuro di oltre dieci secoli,
tra il III secolo d.C., dalla disgregazione dell'Egitto antico, sino
agli albori del VII secolo d.C.
Si
tratta di epoche che possono avere favorito il fluire delle
migrazioni e il diffondersi degli insediamenti in quell’area
sub-sahariana le cui dinamiche, data l’assenza di fonti
documentarie, si potrebbero ricercare e interpretare alla luce degli
studi comparati tra introspezione archeologica e lettura della
morfologia e dell’infrastruttura naturale del territorio. La valle
del Niger, infatti, ha sempre rappresentato un crocevia naturale tra
le direttrici nord-sud del commercio trans-sahariano e quella
est-ovest che la mette in contatto con le popolazioni della valle
del Nilo.
Nel
642 ha inizio l'espansione mussulmana verso l'Atlantico, inducendo
una progressiva rotazione da oriente ad occidente dei principali
poli di riferimento esterno: dal regno di Kush e di Aksum, aperti
agli scambi con Mar Rosso e Oceano Indiano, all’Egitto, alla
Cirenaica e infine all’Algeria e al Marocco.
Testimonianze
puntuali sono fornite da studiosi arabi, geografi e storici al
seguito delle invasioni islamiche, con le loro descrizioni
dell'organizzazione statale e i racconti sulle genti che abitavano
l'Africa occidentale agli albori del primo millennio.
Al
compiersi della penetrazione islamica intorno al XII sec. d.C. i
pellegrini da tutta l'Africa mussulmana percorrevano le piste
commerciali verso la Mecca che divenne un rilevante centro di
compravendita di grani da preghiera realizzati con i materiali più
vari, provenienti da tutto il mondo. Così, i pellegrini africani
importarono nel proprio paese collane siriane e persiane di pasta
vitrea che ricordavano i motivi mesopotamici di quattromila anni
prima, perline egiziane e levantine, dal Libano in stile
punico-romano e ancora corniole e agate indiane, oltre ad ambra e
corallo.
In
questo periodo, i mercanti arabi diventarono una linfa vitale del
traffico internazionale. Vie carovaniere e rotte marittime
collegavano i centri mercantili islamici con Africa orientale,
Scandinavia, Cina e India, diffondendo stili, materiali e prodotti
islamici. Perline di vetro a mosaico sono state ritrovate in siti
vichinghi dell’XI secolo e perline “a occhio”, blue eye, in
Albania, in una cittadella del VII sec. d.C.
Per
quanto riguarda l'Africa occidentale, i dhow arabi imbarcavano
pietre semipreziose in India per approdare nello Yemen, da dove
erano portate alla Mecca, e sulle rive dell'Africa orientale, dove
venivano barattate con avorio e oro. Dalla costa, le carovane
trasportavano queste merci al Cairo e da qui lungo le piste
sahariane verso i più importanti centri africani, Agades, Gao,
Tombouctou e Djenné.
Tra
il 900 e il 1000 d.C. Il Cairo - al-Quahira, la vittoriosa, ma
quell'epoca chiamato Fustat - diventa un centro importante per i
produttori di perline. Qui si importavano conchiglie e avorio
africano da lavorare e si producevano anche splendide perline vitree
che riproponevano modelli romani, egizio tolemaici e fenici, ormai
rarissimi sul mercato.
Le
perline islamiche appartengono all'ultima fase della produzione
vetraria del Medio Oriente, sono ispirate a tradizioni preislamiche
e richiamano stilemi mesopotamici ed egizi: motivi a filatura, a
piuma, a festoni, a mosaico, realizzati con la tecnica delle perle
romane. Il mondo islamico comprendeva, infatti, molte regioni ove si
erano sviluppate tecniche di lavorazione del vetro, come l'Egitto,
la Mesopotamia, la Siria, l'Iraq e la Persia sassanide.
Grande
importanza era attribuita all’aspetto cromatico. Il colore del
cielo, il blu, era la tinta più diffusa. Queste perle che
assurgevano al rango di amuleti si fabbricavano non solo con il
vetro, ma anche con le pietre.
In
particolare, il turchese, in arabo fayruz o pietra della fortuna,
proteggeva dal veleno e dalle malattie agli occhi, ma con l'uso
prolungato, il trascorrere del tempo e l’esposizione a calore e
raggi solari, tendeva a cambiare colore, annunciando il fatale
approssimarsi della morte.
La
cornalina teneva lontana la sventura, proteggeva dall'invidia ed è
tuttora considerata sacra dai mussulmani perché il Profeta Maometto
portava un anello con un sigillo in cornalina yemenita.
La
documentazione scientifica più completa che consente di datare in
maniera pressoché certa le perline di vetro, cornalina, agata di
provenienza egiziana, medio orientale e indiana, è sicuramente
quella acquisita negli scavi archeologici delle città medioevali di
Tegdaoust e Koumbi Saleh in Mauritania. Dalle necropoli di queste
città, infatti, sono riaffiorati tesori di pasta vitrea di diverse
provenienze quali:
-
perline egiziane del X-XII sec. d.C. del tutto simili a quelle
conservate al Museo del Cairo, fabbricate a Fustat (Il Cairo)
-
perline alessandrine e siriane
-
perline di vetro avvolto da inclusioni ondulate gialle,
d'ispirazione mesopotamica e meroitica
-
perline a melone bombate, opache, di colore azzurro provenienti
dalla Persia sassanide, insieme a frammenti di grani ovoidali di
agata bruna
-
perline di cornalina, prodotte sul posto e d'importazione, come
testimonia un frammento di pendente con iscrizioni cufiche d'epoca
almoravide
-
perline di terra cotta, di color bruno scuro, di fattura indigena
-
perline di bronzo ad alto tenore di rame, di produzione locale
La
stessa tipologia delle perle provenienti dalle due antiche città si
ritrova nei siti archeologi del Mali, nella regione di Djenné,
Tombouctou, Gao e lungo tutto il fiume Niger, dove, purtroppo, non
è mai stata ritrovata alcuna perlina in uno scavo archeologico
ufficiale.
Insieme
alle perline sopra descritte, soprattutto nella regione a sud di
Tombouctou, sono state ritrovate paste vitree colorate con
inclusione ad occhio, del tutto simili alle perline puniche
custodite al Louvre, al Museo di Tunisi e di Mozia e alle perline
romane ed egizio-tolemaiche di vetro avvolto con inclusioni ad
occhio, simili a quelle del Museo del Cairo.
Rimane
l'interrogativo se si tratti di perline prodotte in loco da
artigiani provenienti dalla costa, oppure provenienti senza tappe
intermedie da città costiere del Mediterraneo o dall'Egitto romano.
D’altro canto, è comprensibile che i Cartaginesi avessero
contatti con le popolazioni berbere, come confermano i ritrovamenti
di monete e di vasi punici in Marocco, e che i Romani, attraverso i
Garamanti, avessero avuto contatti sporadici con le popolazioni a
sud del deserto del Sahara.
Un'importante
scoperta archeologica darebbe credito alla teoria che manufatti
vitrei romani, le perline, siano giunti nell’Africa occidentale
sub-sahariana. Nel 1903, a Tafarit, a 80 km da Tamanrasset, tra
Algeria e Mali, fu scoperto un monumento funerario unico nel suo
genere in tutto il Sahara. La costruzione ellittica di 26.25 m per
23.75 è costituita da undici ambienti con muri spessi da 1.4 m sino
a 3.3 m e alti non meno di 2 m. In una di queste stanze è stato
ritrovato il corpo di una donna, chiamata Tin Hinam, letteralmente:
‘la regina delle tende’ ma creduta dalla voce popolare la regina
di Atlantide, custodito al Museo del Bardo d'Algeri con il suo
corredo funerario formato da centinaia di perline di pasta di vetro,
cornalina, agata, amazzonite, oltre ad anelli d'oro, frammenti di
vetro, palline d'oro, un braccialetto di ferro ritorto e altri
d’oro e argento, il calco aureo di una moneta dell'epoca di
Costantino e una lucerna, con altri oggetti che si sono disgregati
all’atto della scoperta. Alcuni frammenti lignei del letto
funebre, sottoposti alla prova del C14, hanno evidenziato la data
del 470-130 d.C. mentre la lucerna, sicuramente romana, è di una
tipologia databile non oltre il III sec. d.C. e i vetri sono
classificati come tardo romani. Inizialmente, la costruzione in
esame potrebbe essere stata la dimora della mitica Tin Hinam o,
forse, una costruzione fortificata romana, avamposto per operazioni
militari, come la spedizione del proconsole d’Africa Cornelio
Balbo nel 19 a.C. contro i predoni berberi delle città di Rhapsa (Gafsa),
Cidamus (Gadames) e Garama (Germa) nel regno dei Garamanti nel
Fezzan. L'importanza di questa scoperta sta nel fatto che Tafarit è
situata alla confluenza degli oued Tifirit e Abelessa che
controllavano le principali vie di comunicazione tra nord e centro
dell'Africa, tra cui le carovaniere tra l'Adrar e Agades, Gao e
Tombouctou.
Si
può avanzare l'ipotesi che le perline ritrovate nel Mali non si
riferiscono alla datazione delle perline di Tafarit, ma potrebbero
essere di origine garamantica. Garati, una provincia romana in
Libia, ha mantenuto stretti rapporti commerciali con le province
romane d’Africa e con l'Africa nera ed è plausibile che dopo la
caduta dell'Impero romano abbia portato avanti la produzione di
oggetti romanizzanti, sfruttando le conoscenze della lavorazione del
vetro, della ceramica e della lavorazione dei metalli. Così, sono
proseguiti i traffici di queste merci lungo le vie carovaniere e gli
scambi tra il Mediterraneo e le regioni oltre il Sahara.
Tali
perline facevano parte della più nota tipologia d'uso apotropaico,
vale a dire la perla ad occhio, d'origine mesopotamica, egizia,
fenicia, romana, di cui furono soprattutto gli Arabi i maggiori
produttori. Il Corano definisce le stelle come perline del cielo,
splendenti e luminosi occhi celesti che offrono protezione
rischiarando i cieli oscuri. La grande diffusione temporale e
geografica delle perline a occhio esige un approfondimento delle
origini che hanno determinato una tale diffusione.
L'ideologia
dell'occhio del male, o malocchio, è assai complessa e in molte
società è ancora molto diffusa la credenza che la forza malefica
che si sprigiona dall'occhio di determinati individui possa arrecare
danno alle persone o ai loro averi, o tormentarli con impulsi
negativi, come la gelosia o l'odio. Per contrastare l’influsso
negativo vi si deve opporre uno sguardo, un occhio superiore che può
assumere la forma di una perlina.
Le
origini di questi amuleti sono molto antiche. L'archeologia lo
conferma, con il ritrovamento in scavi di siti sumerici del III
millennio a.C. di grani di pietra incisi con disegni di occhi, di
agate variegate e tagliate in modo da produrre un effetto di occhio,
di cornaline incise all'acquaforte con motivi di occhi, con il
corredo di tavolette d'argilla recanti scritte sul malocchio.
All’atto
dell'invenzione o dell'introduzione della lavorazione del vetro in
Asia Minore, in Egitto e in Europa, la perlina a occhio fu uno dei
primi manufatti vitrei.
Nell'antico
Egitto, tra la V e la XII dinastia erano molto diffusi amuleti con
gli occhi di Horus, gli udjat, che proteggevano da sguardi malefici.
Sembra
che i Romani non celebrassero riti o pratiche scaramantiche contro
il malocchio, tuttavia tale epoca fornisce una vastissima produzione
di perline a occhio, probabilmente esportate in tutto l'Impero.
E
se il magistero ebraico rinnega le superstizioni popolari, gli
antichi Ebrei temevano il malocchio, ricorrendo a rimedi contro di
esso. Per proteggere le case e gli edifici di culto veniva dipinto
un simbolo detto ‘l'occhio molto tollerante’, un esempio fu
ritrovato in una sinagoga del III sec. d.C. in Siria presso
Dura-Europos e un altro è raffigurato in un dipinto murale del
monastero cristiano di Bawit in Egitto, del VI sec. d.C.
Ma
è nel mondo islamico che la credenza nel malocchio e l'impiego di
amuleti protettivi in foggia di occhio trova la sua massima
espressione. L’amuleto era denominato, per deferenza e per
eluderne gli effetti malefici, ‘l'occhio magnifico che svuota i
castelli e riempie i sepolcri’. La maggior parte dei mussulmani
porta dalla nascita qualche amuleto protettore, meglio se a occhio,
e antico, anzi, più è vetusto, maggiore è la sua potenza.
Lo
sguardo dell'occhio del male è considerato particolarmente
pernicioso per le donne incinte e per i bambini, una vera minaccia
per l'arco vitale della specie umana, ed è per questo che perline
islamiche dai presunti effetti provvidenziali sono state ritrovate
in gran numero in ritrovamenti archeologici e sono in vendita nei
mercati locali, dall'Africa all'Indonesia, dove circolano da secoli.
La
tradizionale produzione di perline di vetro in Asia minore,
continuata per oltre tre millenni, ebbe un brusco termine agli inizi
del XV secolo, quando nel 1401 le orde mongole di Tamerlano
conquistarono Damasco, Tiro, Aleppo e Sidone e molti artigiani
vetrai furono deportati a Samarcanda.
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Perline di produzione europea
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La
scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 e lo
sbarco di Vasco da Gama nel 1497 in Natal e il suo periplo del
continente nel 1498 che apre la via per l’India segnano la fine
della produzione vetraria araba per lasciare il passo a quella
veneziana che già nel XIV secolo, con il trasferimento di tutte le
vetrerie a Murano e l'emanazione di severissime leggi per la tutela
dell’arte della lavorazione del vetro, diventa la capitale
mondiale nel settore delle perline. Ha così inizio l'era
dell'espansione dell’Europa nel mondo.
Storicamente,
l’antica produzione vetraria a Venezia risale all'epoca
longobarda. Infatti, sull’isola di Torcello sono state ritrovate
fornaci con frammenti di vasi e tessere di mosaico in un contesto
archeologico risalente al 600-650 d.C.
Se
è impossibile dimostrare una continuità tra la produzione vetraria
romana e quella veneziana, è tuttavia lecito ritenere che il suo
sviluppo nel medioevo sia stato possibile grazie agli scambi
culturali e commerciali di Venezia con Bisanzio e il Mediterraneo
orientale, mentre si ritiene che, dopo la caduta definitiva di
Costantinopoli nel 1453, molti vetrai si siano trasferiti a Venezia
per non subire la dominazione ottomana.
A
Venezia, la produzione e l'esportazione di perline era attiva già
nel 1300, quando le navi della Serenissima imbarcavano merci lungo
le rotte per il Mar Nero, le Fiandre, l’Inghilterra, la Tunisia,
l’Algeria e il Marocco.
Nel
XIV sec. Veneziani e Pisani detenevano il monopolio dei traffici tra
Europa e Africa settentrionale, la Berberia, lungo le cui coste
disponevano di funduqs (fondachi) e rappresentanti, come a Kairouan,
Constantine, Tlemcen.
Gli
Europei erano accolti nei porti berberi a patto che non si
spingessero all'interno e che agli Arabi fosse lasciato il monopolio
del trasporto verso sud di rame, perline di vetro, braccialetti e
stoffe che approdavano da Venezia.
Un
documento importante a questo proposito sono le memorie di un
letterato di Tlemcen, tale Ahmed Ibn Mohammed El Makkari, nato nel
1591, che dà notizia sulle attività commerciali dei suoi antenati.
I Makkari facilitavano la traversata del Sahara delle carovane,
scavando pozzi e curandone la manutenzione, procurando guide e
salvacondotti. Lungo il percorso tra il Mediterraneo e l'Africa
sub-sahariana, a Sidjilmessa, e al capolinea di Oualata, al di là
del Sahara, altri membri della famiglia si occupavano di ricevere le
merci europee, barattandole con oro, avorio, pelli pregiate portate
dai regni sudanesi con i quali intrattenevano ottimi rapporti. Le
piste carovaniere percorse per mantenere questi contatti tra nord e
sud erano già conosciute e ne parla Tolomeo, nella sua Geografia e
nell’Atlante del II sec. d.C.
I
progressi tecnici della navigazione raggiunti nel XVI secolo,
permisero a grandi navigatori come Cristoforo Colombo, Vasco da Gama,
Magellano, di aprire con le loro audaci imprese i collegamenti
marittimi con l'Europa e quasi tutte le terre del mondo.
Nei
‘nuovi’ territori d'Africa e d'America, il vetro era considerato
più raro delle pietre dure e preziose e per questo si aprirono
prospettive enormi di guadagno per i mercanti europei che
stimolarono l'aumento della produzione delle perline, prima molto
limitato a causa dell’esigua domanda dei mercati tradizionali.
Secondo
un rapporto del 1632, il profitto dello scambio delle perle di vetro
veneziane con le pellicce dell’America settentrionale e con
l'avorio, l'oro e gli schiavi d’Africa raggiungeva il 1000%, le
perline divennero dunque un elemento importantissimo del commercio
internazionale che coinvolgeva le compagnie marittime portoghesi,
spagnole, francesi e inglesi.
I
vetri veneziani, con altre merci europee, diedero origine a un
articolato ciclo commerciale che si avvaleva dell'esperienza
tradizionale delle antiche reti commerciali arabe. Le perline di
vetro si diffusero in tutto il continente nero, barattate con
schiavi da esportare nel Nuovo mondo e con l'avorio che raggiungeva
le corti europee. Dalle Americhe arrivavano zucchero, tabacco,
argento e oro.
Nel
1525 esistevano a Venezia ventiquattro vetrerie e nel 1606 il
registro dei produttori di perle riscontrava ben duecentocinquantuno
iscritti. Nel 1764 la produzione delle ventidue principali vetrerie
di Murano che avevano assorbito o si erano fuse con altre, era di 19
000 kg di perline la settimana, quasi esclusivamente destinate
all'esportazione. Dopo la caduta della Serenissima repubblica di
Venezia nel 1797 per mano di Napoleone Buonaparte, l'industria subì
una notevole contrazione, anche a causa del trasferimento di molti
operai in Francia. Dopo le guerre napoleoniche, le industrie
vetrarie veneziane conobbero nuovi splendori, al punto che intorno
al 1880-90 le esportazioni verso gli Stati Uniti superavano le 2700
tonnellate l'anno. Dopo la guerra civile americana e con la fine
della tratta degli schiavi, aveva inizio l'epopea coloniale in
Africa con un conseguente aumento della richiesta di perline,
considerate valida moneta di scambio, come prima le conchiglie
cowrie.
La
produzione veneziana di perline era fortemente influenzata dai
modelli egizi e romani, non solo nel disegno e nel colore, ma anche
nella tecnica di produzione che rimase immutata fino al tiraggio
delle canne cave e all'invenzione dello stampaggio. Ritorna così
l'uso delle perline a rosetta, a mosaico o millefiori e monocrome
sfaccettate. Furono anche riproposti modelli arabi che a loro volta
si rifacevano all'arte vetraria mesopotamica e meroitica.
Appartengono a questa tipologia le perline a piumetta, a occhio e a
filatura scritta. Nei mercati e nei siti archeologici medioevali
africani, si ritrovano perline arabe del XI-XV sec. d.C. a motivi
mesopotamici e mediterranei, oppure veneziane del XIX-XX sec d.C.
con motivi romani ed egiziani; la tradizione continua ancora con la
moderna produzione indiana e africana in Ghana, Nigeria e Costa
d'Avorio.
Il
successo continentale dell'industria vetraria veneziana dipese anche
dalla capacità di adeguarsi ai gusti dei vari mercati locali e di
commisurare la produzione alla domanda. Dato che i gusti si
differenziavano nelle differenti regioni e tra le diverse etnie,
anche nello stesso territorio, la varietà di forme, decorazioni e
colori fu enorme, con più di centomila tipi di perline prodotti a
Venezia.
Ogni
caratterizzazione veniva definita su precisa indicazione della tribù
che forniva un dato prodotto. La documentazione raccolta al Museum
of Mankind di Londra consente d’identificare le perline destinate
all'acquisto dell'oro in Africa occidentale che erano
prevalentemente gialle con motivi a occhio e a filatura scritta;
quelle per l'avorio in Africa centrale erano monocrome,
prevalentemente rosse e turchesi; quelle boeme, impiegate per
l’acquisto degli schiavi, erano biconiche o cilindriche,
sfaccettate, quasi tutte blu.
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Il Magreb
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Il
Magreb (in arabo , letteralmente, “dove tramonta il sole” è, la
terra delle popolazioni berbere comprendente il Marocco,
l’Algeria, la Tunisia e parte della Libia occidentale. La storia
dell’Africa mediterranea spesso
sio incrocia con le vicende africane: le prime carovaniere, le prime
spedizioni militari romane e dieci secoli dopo, arabe, partivano
proprio dal Magreb e dal Magreb transitavano buona parte delle merci
che venivano scambiate con gli imperi del Mali.
Un
tempo i Berberi occupavano i territori fertili e ricchi
dell’Africa nord occidentale, dove pascolavano animali e fiorivano
raccolti. Tra l’VIII e l’XI sec. furono invasi dagli arabi
musulmani e ricacciati sulle lande montuose dell’Atlante, del Rif
e della Cabila, ai margini aridi del deserto del Sahara.
Le
donne berbere, benché islamiche , non si sono mai coperte il volto,
anzi amano mostrarsi e mettere in luce la loro bellezza adornandosi
con vistosi gioielli nati dalla fantasia degli argentieri ebrei
emigrati in Africa settentrionale già in epoca romana, ma anche nel
XV sec. quando furono espulsi dalla Spagna.
I
monili berberi fanno mostra di elementi in ambra, corallo,
amazzonite, conchiglie e paste vitree veneziane, che costituivano le
merci che venivano scambiate tra Europa, Medio Oriente ed Africa
occidentale. Le collane, in particolare, con funzione anche
apotropaica contro il malocchio e le malattie, costituiscono la dote
della sposa e svolgono un ruolo importante nella qualificazione del
suo stato sociale, diventando in caso di necessità una sorta di
capitale d’emergenza da esitare.
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Perline di produzione africana
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A questo
gruppo appartengono le perline di quarzo siliceo, cornalina, agata e
conchiglia fossile. Prodotte in epoca preistorica, nel neolitico,
alla fine del periodo del Sahara umido all'inizio della
desertificazione, quando i pastori del Sahel occupavano un
territorio ancora fertile e ricco di acqua, prima di essere
costretti al nomadismo dalle mutate condizioni ambientali.
Si tratta
di perline ancora molto diffuse tra le popolazioni nomadi e
scambiate nei mercati di tutta l'Africa. I discendenti delle
popolazioni del Sahel che hanno continuato per millenni a spostarsi
a sud del grande deserto in cerca di pascoli per le proprie mandrie
raccolgono, nel loro girovagare tra le dune in movimento, perline
affioranti da antiche sepolture o da insediamenti preistorici che la
sabbia aveva coperto e preservato per secoli.
È
difficilissimo determinare l'antichità di queste perline. Infatti,
accanto a quelle raccolte nel deserto, ne sono presenti altre,
lavorate o rilavorate in epoca più o meno recente, con la stessa
materia prima delle perline neolitiche.
A questi
tipi, ripresentando gli stessi interrogativi, appartengono le
perline di granito grigio scuro marmorizzato che si trovano nella
regione di Hombori del Mali e presso i Dogon che vi attribuiscono
prodigiose facoltà magiche di protezione personale, specie se hanno
fatto parte del corredo di qualche hogon (sacerdote) o féticheur
(stregone).
Dal XVI
sec. si ha notizia della produzione di perline di vetro nell'Africa
subsahariana, negli odierni stati di Ghana, Mauritania e Nigeria.
Qui, nella città di Bida, si perpetua la tradizione dell’utilizzo
di vetro di recupero per produrre perline monocrome di fattura
grossolana, ma di notevole suggestione, oltre alle grosse perline
cilindriche e sferiche ad imitazione di corallo, ambra e turchese.
L’etnia
Krobo del Ghana fabbrica perline gialle a pasta opaca decorata con
motivi descritti rossi, blu e neri, denominate Bodon, molto
ricercate per le loro proprietà magiche e d’antica tradizione,
pare ne esistano esemplari risalenti al XVI sec. Da Kiffa, in
Mauritania, provengono le omonime perline realizzate con una tecnica
particolare: su una base di vetro opaco fuso a goccia, partendo
probabilmente da vetro rigenerato, vengono ‘scritti’ motivi a
occhio con decorazioni geometriche dalla policromia molto accesa a
base di puri rossi, gialli e blu.
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