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a cura di Augusto Panini

Introduzione

 

 

Perline di produzione neolitica

Perline di produzione islamica e indiana
Perline di produzione europea

Il Magreb

 
Perline di produzione africana
 

Introduzione

Nell’Africa dei primi anni Ottanta, viaggiavo di frequente verso città esotiche che mi erano pressoché sconosciute: Bamako, Cotonou, Ouagadougou, Niamey, le capitali di stati africani dai nuovi nomi, grazie alla recente indipendenza, come Benin (Dahomey), Mali (Africa Occidentale Francese), Burkina Faso (Alto Volta), Niger (Sudan Francese).

Ogni due mesi visitavo questi paesi per lavoro e, adattandosi al ritmo africano, i miei soggiorni si prolungavano per parecchi giorni. Questo prezioso tempo dilatato mi fece conoscere il territorio, gli usi, le tradizioni. Ben presto, presi coscienza della storia africana precoloniale che aveva le sue radici in epoche molto remote e il suo apice in un periodo storico corrispondente al Medioevo europeo. Le fonti d’informazione di questa storia erano i riti ancestrali e le leggende che risalivano agli albori della comparsa dell’uomo sulla terra,

In questo vagabondare tra griot, féticheur e marabout, frequentavo i fornitori delle testimonianze concrete degli antichi racconti e cioè gli antiquaire che, abili commercianti, avevano sede nel mercato principale della città. Qui, insieme ai mercanti di stoffe, vettovaglie, spezie, ornamenti e quant'altro fosse vendibile, si rinnovava ogni giorno il rito vivace e inesauribile dello scambio e della contrattazione, una delle millenarie tradizioni d’Africa.

Il marché rose di Bamako, in Mali, era certamente tra i più affascinanti (ma purtroppo devastato dal fuoco nel 1994, con tutte le testimonianze e i tesori che custodiva). Trascorrevo lunghe ore a rintracciare testimonianze delle antiche civiltà che videro gli imperatori del Mali governare tutta l’Africa occidentale, commissionare moschee imponenti a Djenné e Tombouctou, compiere pellegrinaggi alla Mecca di cui ancora oggi si favoleggia. Tra queste testimonianze affidate a vasi e figure di terracotta, bronzi, ferri forgiati, ornamenti di pietre più o meno preziose e pasta di vetro, la mia attenzione si concentrò sulle collane che erano offerte in gran numero, tanto da far ritenere che si trattasse d’artigianato locale. Ma stupiva l’originalità non replicata della produzione che esibiva ogni volta fili di perle vitree diverse, tutte armoniose e ben patinate.

Ad un esame attento delle perline vitree, dette anche grani o vaghi, che costituivano queste collane, si intuiva non trattarsi di ordinaria fattura locale e neppure di antica produzione indigena, ma di materiali d’importazione europea, mediorientale, indiana ed egizia di epoca tardoromana. Il confronto tra le perline del Mali e quelle veneziane, siriane, persiane ed egiziane esposte nei maggiori musei internazionali, confermò questa prima sensazione e presi atto che sui mercati africani erano offerte, a fianco di collane di finto avorio e corallo di plastica, collane infilate con perle vitree di varia provenienza che circolavano in questi paesi da centinaia, se non da migliaia, d’anni.

Fu così che organizzai il primo viaggio in Mali, alla ricerca della provenienza delle collane: dove, come e perché fossero raccolte e quale significato avessero per le popolazioni che le usavano.

Il punto di partenza fu il marché rose di Bamako, dove appresi che tre ne erano le fonti:

- i nomadi del deserto a nord di Tombouctou e Gao che trasportavano grani di cornalina, quarzo ed amazzonite e pendenti di conchiglia fossile, trovati in luoghi oggi sterili e desolati, ma che quattromila anni or sono abbondavano d'acqua, di fiumi e di animali selvatici, come testimoniano i graffiti rupestri dell'Adrar des Iforas, dell'Hoggar e del Tassili;

- i pastori Peul del Delta interno del Niger che, portando al pascolo gli armenti tra le vestigia d'antichi insediamenti degli imperi del Sudan, raccoglievano nelle necropoli dilavate dalle esondazioni del Niger perline medioevali tratte dal corredo funerario degli antichi abitatori degli imperi del Mali, del Ghana e del Songhai;

- i Dogon dei villaggi più isolati che hanno conservato per centinaia d'anni la loro identità al riparo da aggressioni mussulmane e domini coloniali e solo ora sono costretti a mettere in commercio i propri tesori per far fronte alla siccità, alle malattie o, ben più crudelmente, dovendo abbandonare i loro villaggi divenuti invivibili: in questo caso si tratta di perline veneziane, boeme e olandesi.

L’individuazione di queste fonti svelò un enigmatico e luoghi inattesi, di scambi commerciali in epoca medioevale tra il Mali, il Medio Oriente, il Mediterraneo e l'India, di contatti con navigatori portoghesi fin dal XVI secolo, di rapporti commerciali in epoca coloniale e fino ai giorni nostri.

La collezione di collane proposta in queste pagine scaturisce da oltre due decenni d’esplorazioni sul campo, di ricerche nei mercati più lontani e d’indagini presso raccoglitori africani nelle tre vaste aree citate. Tutti gli esemplari, compresi i modelli più enigmatici, provengono dalla terra d’Africa e costituiscono una testimonianza certa dell’esistenza di tre periodi storicamente definiti e identificabili per tipologia di materiale che rendono agevolmente leggibile il percorso storico indicato.

 

Perline di produzione neolitica

Al neolitico si ascrivono le collane di quarzo, conchiglia fossile, cornalina e amazzonite dalle regioni desertiche comprese tra le città di Tombouctou e Gao e la regione sahariana dell'Adrar des Iforas. Durante la transumanza, i nomadi Tuareg raccolgono sulla superficie delle sabbie in perenne movimento i reperti d'antichissime presenze che risalgono al periodo del Sahara fertile, tra il 6 000 e il 1 000 avanti Cristo.

Per molti anni, il deserto della regione di Gao è stato studiato con particolare attenzione ai laboratori di lavorazione delle perle di cornalina e quarzo, alle fonti d'approvvigionamento della materia prima e al loro riutilizzo in epoca moderna.

A nordest di Gao, nel sito d'Ilouk, venne individuata un’importante miniera di cornalina. All’esame del materiale trovato, si possono decifrare senza troppi errori le tecniche d'estrazione: il distacco del minerale avveniva per percussione diretta, probabilmente dopo aver riscaldato il blocco originale, come si può dedurre dagli attrezzi litici ritrovati in situ e dal craquelé riscontrato su alcuni frammenti di scarto della lavorazione. Dopo la riduzione in piccoli dischi, questi erano forati con attrezzi a percussione laterale, operazione particolarmente delicata e aggressiva, dalla percentuale di riuscita alquanto bassa, come si deduce dalla gran quantità di grani spezzati ritrovati nel luogo.

Sede di un'altra industria di perline di cornalina di buona qualità che si differenzia dalle altre per il tipo di perforazione dei grani, Taguelalt, a breve distanza da Talataye, presenta un'assenza totale di vaghi finiti: questi si trovano solo nelle stazioni abitative, nelle tombe e nei suq di Tombouctou e di Gao.

È convinzione comune che le perforazioni lunghe, diritte e regolari siano caratteristiche di perline non antiche, perché per ottenerle sarebbe necessario l’impiego di una punta metallica. Si tratta di un'opinione errata: il calcedonio (minerale della cornalina) di durezza 7, non può essere perforato né dal bronzo né dagli acciai moderni. Solo gli abrasivi al quarzo o al diamante possono attaccarlo e proprio questa è la tecnica utilizzata a Taguelalt, dove le perforazioni sono perfettamente cilindriche, senza variazioni del diametro, a pareti perfettamente lisce, ottenute tramite una punta di spina d'acacia con un abrasivo a pasta fine, miscelato con grasso animale, e montata su un mandrino animato per mezzo di un archetto.

L'amazzonite, detta anche lo smeraldo dei Garamanti, si ritrova nelle stesse stazioni abitative neolitiche e nelle tombe della regione di Tombouctou e Gao, ma anche nelle località protostoriche d'Oudane in Mauritania, sempre in grani singoli e in piccole quantità.

Le collane di conchiglia fossile, rare in Mali, sono più frequenti in Mauritania, dove si trovano giacimenti fossili presenti nelle formazioni quaternarie (tra 39 000 e 29 000 anni a.C.).

 

Perline di produzione islamica e indiana

Successivamente alle testimonianze riferite al periodo preistorico dell'area sub-sahariana, si attesta un periodo oscuro di oltre dieci secoli, tra il III secolo d.C., dalla disgregazione dell'Egitto antico, sino agli albori del VII secolo d.C.

Si tratta di epoche che possono avere favorito il fluire delle migrazioni e il diffondersi degli insediamenti in quell’area sub-sahariana le cui dinamiche, data l’assenza di fonti documentarie, si potrebbero ricercare e interpretare alla luce degli studi comparati tra introspezione archeologica e lettura della morfologia e dell’infrastruttura naturale del territorio. La valle del Niger, infatti, ha sempre rappresentato un crocevia naturale tra le direttrici nord-sud del commercio trans-sahariano e quella est-ovest che la mette in contatto con le popolazioni della valle del Nilo.

Nel 642 ha inizio l'espansione mussulmana verso l'Atlantico, inducendo una progressiva rotazione da oriente ad occidente dei principali poli di riferimento esterno: dal regno di Kush e di Aksum, aperti agli scambi con Mar Rosso e Oceano Indiano, all’Egitto, alla Cirenaica e infine all’Algeria e al Marocco.

Testimonianze puntuali sono fornite da studiosi arabi, geografi e storici al seguito delle invasioni islamiche, con le loro descrizioni dell'organizzazione statale e i racconti sulle genti che abitavano l'Africa occidentale agli albori del primo millennio.

Al compiersi della penetrazione islamica intorno al XII sec. d.C. i pellegrini da tutta l'Africa mussulmana percorrevano le piste commerciali verso la Mecca che divenne un rilevante centro di compravendita di grani da preghiera realizzati con i materiali più vari, provenienti da tutto il mondo. Così, i pellegrini africani importarono nel proprio paese collane siriane e persiane di pasta vitrea che ricordavano i motivi mesopotamici di quattromila anni prima, perline egiziane e levantine, dal Libano in stile punico-romano e ancora corniole e agate indiane, oltre ad ambra e corallo.

In questo periodo, i mercanti arabi diventarono una linfa vitale del traffico internazionale. Vie carovaniere e rotte marittime collegavano i centri mercantili islamici con Africa orientale, Scandinavia, Cina e India, diffondendo stili, materiali e prodotti islamici. Perline di vetro a mosaico sono state ritrovate in siti vichinghi dell’XI secolo e perline “a occhio”, blue eye, in Albania, in una cittadella del VII sec. d.C.

Per quanto riguarda l'Africa occidentale, i dhow arabi imbarcavano pietre semipreziose in India per approdare nello Yemen, da dove erano portate alla Mecca, e sulle rive dell'Africa orientale, dove venivano barattate con avorio e oro. Dalla costa, le carovane trasportavano queste merci al Cairo e da qui lungo le piste sahariane verso i più importanti centri africani, Agades, Gao, Tombouctou e Djenné.

Tra il 900 e il 1000 d.C. Il Cairo - al-Quahira, la vittoriosa, ma quell'epoca chiamato Fustat - diventa un centro importante per i produttori di perline. Qui si importavano conchiglie e avorio africano da lavorare e si producevano anche splendide perline vitree che riproponevano modelli romani, egizio tolemaici e fenici, ormai rarissimi sul mercato.

Le perline islamiche appartengono all'ultima fase della produzione vetraria del Medio Oriente, sono ispirate a tradizioni preislamiche e richiamano stilemi mesopotamici ed egizi: motivi a filatura, a piuma, a festoni, a mosaico, realizzati con la tecnica delle perle romane. Il mondo islamico comprendeva, infatti, molte regioni ove si erano sviluppate tecniche di lavorazione del vetro, come l'Egitto, la Mesopotamia, la Siria, l'Iraq e la Persia sassanide.

Grande importanza era attribuita all’aspetto cromatico. Il colore del cielo, il blu, era la tinta più diffusa. Queste perle che assurgevano al rango di amuleti si fabbricavano non solo con il vetro, ma anche con le pietre.

In particolare, il turchese, in arabo fayruz o pietra della fortuna, proteggeva dal veleno e dalle malattie agli occhi, ma con l'uso prolungato, il trascorrere del tempo e l’esposizione a calore e raggi solari, tendeva a cambiare colore, annunciando il fatale approssimarsi della morte.

La cornalina teneva lontana la sventura, proteggeva dall'invidia ed è tuttora considerata sacra dai mussulmani perché il Profeta Maometto portava un anello con un sigillo in cornalina yemenita.

La documentazione scientifica più completa che consente di datare in maniera pressoché certa le perline di vetro, cornalina, agata di provenienza egiziana, medio orientale e indiana, è sicuramente quella acquisita negli scavi archeologici delle città medioevali di Tegdaoust e Koumbi Saleh in Mauritania. Dalle necropoli di queste città, infatti, sono riaffiorati tesori di pasta vitrea di diverse provenienze quali:

- perline egiziane del X-XII sec. d.C. del tutto simili a quelle conservate al Museo del Cairo, fabbricate a Fustat (Il Cairo)

- perline alessandrine e siriane

- perline di vetro avvolto da inclusioni ondulate gialle, d'ispirazione mesopotamica e meroitica

- perline a melone bombate, opache, di colore azzurro provenienti dalla Persia sassanide, insieme a frammenti di grani ovoidali di agata bruna

- perline di cornalina, prodotte sul posto e d'importazione, come testimonia un frammento di pendente con iscrizioni cufiche d'epoca almoravide

- perline di terra cotta, di color bruno scuro, di fattura indigena

- perline di bronzo ad alto tenore di rame, di produzione locale

La stessa tipologia delle perle provenienti dalle due antiche città si ritrova nei siti archeologi del Mali, nella regione di Djenné, Tombouctou, Gao e lungo tutto il fiume Niger, dove, purtroppo, non è mai stata ritrovata alcuna perlina in uno scavo archeologico ufficiale.

Insieme alle perline sopra descritte, soprattutto nella regione a sud di Tombouctou, sono state ritrovate paste vitree colorate con inclusione ad occhio, del tutto simili alle perline puniche custodite al Louvre, al Museo di Tunisi e di Mozia e alle perline romane ed egizio-tolemaiche di vetro avvolto con inclusioni ad occhio, simili a quelle del Museo del Cairo.

Rimane l'interrogativo se si tratti di perline prodotte in loco da artigiani provenienti dalla costa, oppure provenienti senza tappe intermedie da città costiere del Mediterraneo o dall'Egitto romano. D’altro canto, è comprensibile che i Cartaginesi avessero contatti con le popolazioni berbere, come confermano i ritrovamenti di monete e di vasi punici in Marocco, e che i Romani, attraverso i Garamanti, avessero avuto contatti sporadici con le popolazioni a sud del deserto del Sahara.

Un'importante scoperta archeologica darebbe credito alla teoria che manufatti vitrei romani, le perline, siano giunti nell’Africa occidentale sub-sahariana. Nel 1903, a Tafarit, a 80 km da Tamanrasset, tra Algeria e Mali, fu scoperto un monumento funerario unico nel suo genere in tutto il Sahara. La costruzione ellittica di 26.25 m per 23.75 è costituita da undici ambienti con muri spessi da 1.4 m sino a 3.3 m e alti non meno di 2 m. In una di queste stanze è stato ritrovato il corpo di una donna, chiamata Tin Hinam, letteralmente: ‘la regina delle tende’ ma creduta dalla voce popolare la regina di Atlantide, custodito al Museo del Bardo d'Algeri con il suo corredo funerario formato da centinaia di perline di pasta di vetro, cornalina, agata, amazzonite, oltre ad anelli d'oro, frammenti di vetro, palline d'oro, un braccialetto di ferro ritorto e altri d’oro e argento, il calco aureo di una moneta dell'epoca di Costantino e una lucerna, con altri oggetti che si sono disgregati all’atto della scoperta. Alcuni frammenti lignei del letto funebre, sottoposti alla prova del C14, hanno evidenziato la data del 470-130 d.C. mentre la lucerna, sicuramente romana, è di una tipologia databile non oltre il III sec. d.C. e i vetri sono classificati come tardo romani. Inizialmente, la costruzione in esame potrebbe essere stata la dimora della mitica Tin Hinam o, forse, una costruzione fortificata romana, avamposto per operazioni militari, come la spedizione del proconsole d’Africa Cornelio Balbo nel 19 a.C. contro i predoni berberi delle città di Rhapsa (Gafsa), Cidamus (Gadames) e Garama (Germa) nel regno dei Garamanti nel Fezzan. L'importanza di questa scoperta sta nel fatto che Tafarit è situata alla confluenza degli oued Tifirit e Abelessa che controllavano le principali vie di comunicazione tra nord e centro dell'Africa, tra cui le carovaniere tra l'Adrar e Agades, Gao e Tombouctou.

Si può avanzare l'ipotesi che le perline ritrovate nel Mali non si riferiscono alla datazione delle perline di Tafarit, ma potrebbero essere di origine garamantica. Garati, una provincia romana in Libia, ha mantenuto stretti rapporti commerciali con le province romane d’Africa e con l'Africa nera ed è plausibile che dopo la caduta dell'Impero romano abbia portato avanti la produzione di oggetti romanizzanti, sfruttando le conoscenze della lavorazione del vetro, della ceramica e della lavorazione dei metalli. Così, sono proseguiti i traffici di queste merci lungo le vie carovaniere e gli scambi tra il Mediterraneo e le regioni oltre il Sahara.

Tali perline facevano parte della più nota tipologia d'uso apotropaico, vale a dire la perla ad occhio, d'origine mesopotamica, egizia, fenicia, romana, di cui furono soprattutto gli Arabi i maggiori produttori. Il Corano definisce le stelle come perline del cielo, splendenti e luminosi occhi celesti che offrono protezione rischiarando i cieli oscuri. La grande diffusione temporale e geografica delle perline a occhio esige un approfondimento delle origini che hanno determinato una tale diffusione.

L'ideologia dell'occhio del male, o malocchio, è assai complessa e in molte società è ancora molto diffusa la credenza che la forza malefica che si sprigiona dall'occhio di determinati individui possa arrecare danno alle persone o ai loro averi, o tormentarli con impulsi negativi, come la gelosia o l'odio. Per contrastare l’influsso negativo vi si deve opporre uno sguardo, un occhio superiore che può assumere la forma di una perlina.

Le origini di questi amuleti sono molto antiche. L'archeologia lo conferma, con il ritrovamento in scavi di siti sumerici del III millennio a.C. di grani di pietra incisi con disegni di occhi, di agate variegate e tagliate in modo da produrre un effetto di occhio, di cornaline incise all'acquaforte con motivi di occhi, con il corredo di tavolette d'argilla recanti scritte sul malocchio.

All’atto dell'invenzione o dell'introduzione della lavorazione del vetro in Asia Minore, in Egitto e in Europa, la perlina a occhio fu uno dei primi manufatti vitrei.

Nell'antico Egitto, tra la V e la XII dinastia erano molto diffusi amuleti con gli occhi di Horus, gli udjat, che proteggevano da sguardi malefici.

Sembra che i Romani non celebrassero riti o pratiche scaramantiche contro il malocchio, tuttavia tale epoca fornisce una vastissima produzione di perline a occhio, probabilmente esportate in tutto l'Impero.

E se il magistero ebraico rinnega le superstizioni popolari, gli antichi Ebrei temevano il malocchio, ricorrendo a rimedi contro di esso. Per proteggere le case e gli edifici di culto veniva dipinto un simbolo detto ‘l'occhio molto tollerante’, un esempio fu ritrovato in una sinagoga del III sec. d.C. in Siria presso Dura-Europos e un altro è raffigurato in un dipinto murale del monastero cristiano di Bawit in Egitto, del VI sec. d.C.

Ma è nel mondo islamico che la credenza nel malocchio e l'impiego di amuleti protettivi in foggia di occhio trova la sua massima espressione. L’amuleto era denominato, per deferenza e per eluderne gli effetti malefici, ‘l'occhio magnifico che svuota i castelli e riempie i sepolcri’. La maggior parte dei mussulmani porta dalla nascita qualche amuleto protettore, meglio se a occhio, e antico, anzi, più è vetusto, maggiore è la sua potenza.

Lo sguardo dell'occhio del male è considerato particolarmente pernicioso per le donne incinte e per i bambini, una vera minaccia per l'arco vitale della specie umana, ed è per questo che perline islamiche dai presunti effetti provvidenziali sono state ritrovate in gran numero in ritrovamenti archeologici e sono in vendita nei mercati locali, dall'Africa all'Indonesia, dove circolano da secoli. 

La tradizionale produzione di perline di vetro in Asia minore, continuata per oltre tre millenni, ebbe un brusco termine agli inizi del XV secolo, quando nel 1401 le orde mongole di Tamerlano conquistarono Damasco, Tiro, Aleppo e Sidone e molti artigiani vetrai furono deportati a Samarcanda.

 

Perline di produzione europea

La scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 e lo sbarco di Vasco da Gama nel 1497 in Natal e il suo periplo del continente nel 1498 che apre la via per l’India segnano la fine della produzione vetraria araba per lasciare il passo a quella veneziana che già nel XIV secolo, con il trasferimento di tutte le vetrerie a Murano e l'emanazione di severissime leggi per la tutela dell’arte della lavorazione del vetro, diventa la capitale mondiale nel settore delle perline. Ha così inizio l'era dell'espansione dell’Europa nel mondo.

Storicamente, l’antica produzione vetraria a Venezia risale all'epoca longobarda. Infatti, sull’isola di Torcello sono state ritrovate fornaci con frammenti di vasi e tessere di mosaico in un contesto archeologico risalente al 600-650 d.C.

Se è impossibile dimostrare una continuità tra la produzione vetraria romana e quella veneziana, è tuttavia lecito ritenere che il suo sviluppo nel medioevo sia stato possibile grazie agli scambi culturali e commerciali di Venezia con Bisanzio e il Mediterraneo orientale, mentre si ritiene che, dopo la caduta definitiva di Costantinopoli nel 1453, molti vetrai si siano trasferiti a Venezia per non subire la dominazione ottomana.

A Venezia, la produzione e l'esportazione di perline era attiva già nel 1300, quando le navi della Serenissima imbarcavano merci lungo le rotte per il Mar Nero, le Fiandre, l’Inghilterra, la Tunisia, l’Algeria e il Marocco.

Nel XIV sec. Veneziani e Pisani detenevano il monopolio dei traffici tra Europa e Africa settentrionale, la Berberia, lungo le cui coste disponevano di funduqs (fondachi) e rappresentanti, come a Kairouan, Constantine, Tlemcen.

Gli Europei erano accolti nei porti berberi a patto che non si spingessero all'interno e che agli Arabi fosse lasciato il monopolio del trasporto verso sud di rame, perline di vetro, braccialetti e stoffe che approdavano da Venezia.

Un documento importante a questo proposito sono le memorie di un letterato di Tlemcen, tale Ahmed Ibn Mohammed El Makkari, nato nel 1591, che dà notizia sulle attività commerciali dei suoi antenati. I Makkari facilitavano la traversata del Sahara delle carovane, scavando pozzi e curandone la manutenzione, procurando guide e salvacondotti. Lungo il percorso tra il Mediterraneo e l'Africa sub-sahariana, a Sidjilmessa, e al capolinea di Oualata, al di là del Sahara, altri membri della famiglia si occupavano di ricevere le merci europee, barattandole con oro, avorio, pelli pregiate portate dai regni sudanesi con i quali intrattenevano ottimi rapporti. Le piste carovaniere percorse per mantenere questi contatti tra nord e sud erano già conosciute e ne parla Tolomeo, nella sua Geografia e nell’Atlante del II sec. d.C.

I progressi tecnici della navigazione raggiunti nel XVI secolo, permisero a grandi navigatori come Cristoforo Colombo, Vasco da Gama, Magellano, di aprire con le loro audaci imprese i collegamenti marittimi con l'Europa e quasi tutte le terre del mondo.

Nei ‘nuovi’ territori d'Africa e d'America, il vetro era considerato più raro delle pietre dure e preziose e per questo si aprirono prospettive enormi di guadagno per i mercanti europei che stimolarono l'aumento della produzione delle perline, prima molto limitato a causa dell’esigua domanda dei mercati tradizionali.

Secondo un rapporto del 1632, il profitto dello scambio delle perle di vetro veneziane con le pellicce dell’America settentrionale e con l'avorio, l'oro e gli schiavi d’Africa raggiungeva il 1000%, le perline divennero dunque un elemento importantissimo del commercio internazionale che coinvolgeva le compagnie marittime portoghesi, spagnole, francesi e inglesi.

I vetri veneziani, con altre merci europee, diedero origine a un articolato ciclo commerciale che si avvaleva dell'esperienza tradizionale delle antiche reti commerciali arabe. Le perline di vetro si diffusero in tutto il continente nero, barattate con schiavi da esportare nel Nuovo mondo e con l'avorio che raggiungeva le corti europee. Dalle Americhe arrivavano zucchero, tabacco, argento e oro.

Nel 1525 esistevano a Venezia ventiquattro vetrerie e nel 1606 il registro dei produttori di perle riscontrava ben duecentocinquantuno iscritti. Nel 1764 la produzione delle ventidue principali vetrerie di Murano che avevano assorbito o si erano fuse con altre, era di 19 000 kg di perline la settimana, quasi esclusivamente destinate all'esportazione. Dopo la caduta della Serenissima repubblica di Venezia nel 1797 per mano di Napoleone Buonaparte, l'industria subì una notevole contrazione, anche a causa del trasferimento di molti operai in Francia. Dopo le guerre napoleoniche, le industrie vetrarie veneziane conobbero nuovi splendori, al punto che intorno al 1880-90 le esportazioni verso gli Stati Uniti superavano le 2700 tonnellate l'anno. Dopo la guerra civile americana e con la fine della tratta degli schiavi, aveva inizio l'epopea coloniale in Africa con un conseguente aumento della richiesta di perline, considerate valida moneta di scambio, come prima le conchiglie cowrie.

La produzione veneziana di perline era fortemente influenzata dai modelli egizi e romani, non solo nel disegno e nel colore, ma anche nella tecnica di produzione che rimase immutata fino al tiraggio delle canne cave e all'invenzione dello stampaggio. Ritorna così l'uso delle perline a rosetta, a mosaico o millefiori e monocrome sfaccettate. Furono anche riproposti modelli arabi che a loro volta si rifacevano all'arte vetraria mesopotamica e meroitica. Appartengono a questa tipologia le perline a piumetta, a occhio e a filatura scritta. Nei mercati e nei siti archeologici medioevali africani, si ritrovano perline arabe del XI-XV sec. d.C. a motivi mesopotamici e mediterranei, oppure veneziane del XIX-XX sec d.C. con motivi romani ed egiziani; la tradizione continua ancora con la moderna produzione indiana e africana in Ghana, Nigeria e Costa d'Avorio.

Il successo continentale dell'industria vetraria veneziana dipese anche dalla capacità di adeguarsi ai gusti dei vari mercati locali e di commisurare la produzione alla domanda. Dato che i gusti si differenziavano nelle differenti regioni e tra le diverse etnie, anche nello stesso territorio, la varietà di forme, decorazioni e colori fu enorme, con più di centomila tipi di perline prodotti a Venezia.

Ogni caratterizzazione veniva definita su precisa indicazione della tribù che forniva un dato prodotto. La documentazione raccolta al Museum of Mankind di Londra consente d’identificare le perline destinate all'acquisto dell'oro in Africa occidentale che erano prevalentemente gialle con motivi a occhio e a filatura scritta; quelle per l'avorio in Africa centrale erano monocrome, prevalentemente rosse e turchesi; quelle boeme, impiegate per l’acquisto degli schiavi, erano biconiche o cilindriche, sfaccettate, quasi tutte blu.

 

Il Magreb

Il Magreb (in arabo , letteralmente, “dove tramonta il sole” è, la terra delle popolazioni berbere comprendente il Marocco, l’Algeria, la Tunisia e parte della Libia occidentale. La storia dell’Africa mediterranea  spesso sio incrocia con le vicende africane: le prime carovaniere, le prime spedizioni militari romane e dieci secoli dopo, arabe, partivano proprio dal Magreb e dal Magreb transitavano buona parte delle merci che venivano scambiate con gli imperi del Mali.

Un tempo i Berberi occupavano i territori fertili e ricchi dell’Africa nord occidentale, dove pascolavano animali e fiorivano raccolti. Tra l’VIII e l’XI sec. furono invasi dagli arabi musulmani e ricacciati sulle lande montuose dell’Atlante, del Rif e della Cabila, ai margini aridi del deserto del Sahara.

Le donne berbere, benché islamiche , non si sono mai coperte il volto, anzi amano mostrarsi e mettere in luce la loro bellezza adornandosi con vistosi gioielli nati dalla fantasia degli argentieri ebrei emigrati in Africa settentrionale già in epoca romana, ma anche nel XV sec. quando furono espulsi dalla Spagna.

I monili berberi fanno mostra di elementi in ambra, corallo, amazzonite, conchiglie e paste vitree veneziane, che costituivano le merci che venivano scambiate tra Europa, Medio Oriente ed Africa occidentale. Le collane, in particolare, con funzione anche apotropaica contro il malocchio e le malattie, costituiscono la dote della sposa e svolgono un ruolo importante nella qualificazione del suo stato sociale, diventando in caso di necessità una sorta di capitale d’emergenza da esitare.

 

Perline di produzione africana

A questo gruppo appartengono le perline di quarzo siliceo, cornalina, agata e conchiglia fossile. Prodotte in epoca preistorica, nel neolitico, alla fine del periodo del Sahara umido all'inizio della desertificazione, quando i pastori del Sahel occupavano un territorio ancora fertile e ricco di acqua, prima di essere costretti al nomadismo dalle mutate condizioni ambientali.

Si tratta di perline ancora molto diffuse tra le popolazioni nomadi e scambiate nei mercati di tutta l'Africa. I discendenti delle popolazioni del Sahel che hanno continuato per millenni a spostarsi a sud del grande deserto in cerca di pascoli per le proprie mandrie raccolgono, nel loro girovagare tra le dune in movimento, perline affioranti da antiche sepolture o da insediamenti preistorici che la sabbia aveva coperto e preservato per secoli.

È difficilissimo determinare l'antichità di queste perline. Infatti, accanto a quelle raccolte nel deserto, ne sono presenti altre, lavorate o rilavorate in epoca più o meno recente, con la stessa materia prima delle perline neolitiche.

A questi tipi, ripresentando gli stessi interrogativi, appartengono le perline di granito grigio scuro marmorizzato che si trovano nella regione di Hombori del Mali e presso i Dogon che vi attribuiscono prodigiose facoltà magiche di protezione personale, specie se hanno fatto parte del corredo di qualche hogon (sacerdote) o féticheur (stregone).

Dal XVI sec. si ha notizia della produzione di perline di vetro nell'Africa subsahariana, negli odierni stati di Ghana, Mauritania e Nigeria. Qui, nella città di Bida, si perpetua la tradizione dell’utilizzo di vetro di recupero per produrre perline monocrome di fattura grossolana, ma di notevole suggestione, oltre alle grosse perline cilindriche e sferiche ad imitazione di corallo, ambra e turchese.

L’etnia Krobo del Ghana fabbrica perline gialle a pasta opaca decorata con motivi descritti rossi, blu e neri, denominate Bodon, molto ricercate per le loro proprietà magiche e d’antica tradizione, pare ne esistano esemplari risalenti al XVI sec. Da Kiffa, in Mauritania, provengono le omonime perline realizzate con una tecnica particolare: su una base di vetro opaco fuso a goccia, partendo probabilmente da vetro rigenerato, vengono ‘scritti’ motivi a occhio con decorazioni geometriche dalla policromia molto accesa a base di puri rossi, gialli e blu.

 
 

           

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