Event > Le Carovane dei Sogni > Il Catalogo > Il Testo Venturi

             

Magiche gogge di luce: la diffusione delle perline in terra d'Africa  (a cura di Luca M. Venturi)

Introduzione

 

 

Origini remote

Le carovane
I materiali

Arte regale

 
Ornamenti personali

Moda e mercato delle perline

   

Introduzione

La storia dell’Africa propone da sempre personaggi eccentrici e scoperte, o meglio riscoperte, sensazionali.

Esploriamo così ed impariamo a conoscere un mondo dimenticato fatto di personaggi enigmatici di un'epoca senza tempo. Da Annibale con i suoi elefanti al naso di Cleopatra, che non sembra, ma vanno considerati africani a tutti gli effetti, da Leo Africanus che ‘scopre’ Tombouctou, come faranno tanti altri nei secoli, a Shaka Re degli Zulu, dallo svizzero Burckhardt che fugge da Losanna invasa dai Francesi perché parteggiava per Suvorov, traduce in arabo il Robinson Crusoe, gira l'Egitto vestito da Arabo e scopre Abu Simbel e, già che c’è, Petra in Giordania, ad Alexandrine Tinné che cerca le fonti del Nilo e viene uccisa nel Sahara. Da Emin Pasha a Gaetano Casati di Monza, da Romolo Gessi Pasha a Edward Scott Grogan che parte da Città del Capo e dopo un anno raggiunge il Cairo. A piedi.

Anticonformisti, o maledetti, come Arthur Rimbaud e Henry de Monfreid, scrittori e mercanti d’armi, e dal pilota e scrittore Antoine de Saint Exupéry, fino all’archeologo e pilota ungherese László Almásy, il vero ‘paziente inglese’, da Richard Meinertzhagen, agente segreto e collezionista e ladro d’uccelli impagliati, alla famiglia Leakey che a scadenze regolari scopre i resti di un ennesimo primo uomo sulla Terra, rinnovando i finanziamenti americani.

È una storia di mercanti arabi, guide del deserto, re feroci, guerrieri audaci, navigatori coraggiosi, commercianti senza scrupoli, tracciatori negri, cacciatori bianchi, portatori indigeni, poeti, cantori e artisti senza nome, stregoni diafani, amazzoni inquietanti. Un’avventura che risale alle origini del mondo, che nasce dal vento, dalla terra, dall'acqua, dal fuoco, celebrata nel rito della caccia, delle armi degli dei e degli eroi. Ci si imbatte così in ricchezze senza gloria e in miserie senza lacrime. In splendori ed enigmi.

Tra i molti eccentrici che hanno reso celebre il Continente Nero, o meglio, che sono diventati famosi solo grazie all’Africa, desta interesse Eric Grundgren, uno dei migliori cacciatori professionisti nel Kenya degli anni 1960, perché era detto Mchangi: ‘perline magiche’ dato che scovava sempre la sua preda. Una conferma, recente quanto basta, che le perline, in Africa, possiedono tangibili poteri magici. Eppure, sono tanto fragili e minuscole che meraviglia scoprire il ruolo determinante che hanno avuto nella storia, nell’economia e nell’arte africane come moneta e come ornamento.

 

Origini remote

I primi ornamenti durevoli realizzati dall’uomo furono proprio le perline, usate per adornare il corpo come gioielli o cucite sui tessuti. I piccoli grani luminosi e colorati erano facili da trasportare e sempre nuovi e diversi, con la miriade dei loro colori, di forme, disegni, materiali, misure che creano un gioco senza fine d’abbinamenti e di contrasti.

Nell’antico Egitto, tutti indossavano perline come decorazione e amuleto, un binomio inscindibile quello tra estetica e misticismo, tanto che la lavorazione delle perline costituisce un’antichissima e irresistibile tradizione artistica africana, gelosamente custodita dagli artigiani e tutelata dai re.

Le perline hanno quindi un radicato valore apotropaico e protettivo, ma anche una funzione utilitaria per reggere indumenti o coprire le parti intime, come i grembiuli di pelle o stoffa fittamente decorati di perline delle donne ’Ndebele.

Quando nasce un bambino, poi, i fili di perline sono legati a vita, caviglie e braccia per controllarne gli stadi di crescita, in altre parole se mangia a sufficienza, e non va dimenticato che le perline hanno svolto anche l’importante ruolo di moneta.

Le perline si presentano come tenui gocce prodotte con i più diversi materiali, conchiglie, pietra, creta, metallo, vetro, e di varia provenienza, realizzate localmente oppure importate dall’Europa, dal Medio Oriente e dall’India.

 

Le carovane

Geograficamente, i bacini idrografici di Nilo, Congo, Zambesi, Orange formano una rete ideale di grandi vie di comunicazione dal Mediterraneo agli Oceani Atlantico e Indiano e il Sahara è il fulcro delle piste commerciali che mettono in contatto le varie parti d’Africa. Qui i trasporti possono aver avuto inizio solo dopo l’addomesticamento del dromedario, all’inizio dell’era cristiana, perché i cavalli non sopravvivono alle condizioni durissime del deserto.

I primi contratti commerciali trans-sahariani pare siano stati dovuti alla tribù libica dei Garamanti, ma i veri commerci ebbero inizio con i Berberi che attraversano il Sahara con i loro armenti, partendo all’inizio della stagione delle piogge per tornare prima della stagione secca. Inizialmente, si scambiava oro con il sale, che non era l’unica né principale merce perché disponibile anche in molte altre zone, e datteri, grano, rame e manufatti.

La via carovaniera iniziava a nord nelle città commerciali di Sidjilmassa, al confine attuale tra Algeria e Libia, e Tahert nell’VIII sec dC, passando per la città del sale di Taghaza nel Sahara e giungere alla regione aurifera di Wangara, presso il fiume Senegal, nell’antico Ghana.

Ai margini del deserto sorgevano nuove città come Awdaghust, Kumbi, Saleh, Tadamakka che si estinguevano quando le carovane cambiavano le piste. Tre le grandi direttrici carovaniere attraverso il Sahara: quella occidentale da Sidjilmassa ad Awdaghust, la centrale, e principale, da Ifriqiya (Africa settentrionale) all’ansa del Niger e quella egiziana dall’Egitto al Niger per le oasi di Siwa e Kufra, abbandonata nel X secolo perché troppo pericolosa.

 

Perline di produzione europea

La scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 e lo sbarco di Vasco da Gama nel 1497 in Natal e il suo periplo del continente nel 1498 che apre la via per l’India segnano la fine della produzione vetraria araba per lasciare il passo a quella veneziana che già nel XIV secolo, con il trasferimento di tutte le vetrerie a Murano e l'emanazione di severissime leggi per la tutela dell’arte della lavorazione del vetro, diventa la capitale mondiale nel settore delle perline. Ha così inizio l'era dell'espansione dell’Europa nel mondo.

Storicamente, l’antica produzione vetraria a Venezia risale all'epoca longobarda. Infatti, sull’isola di Torcello sono state ritrovate fornaci con frammenti di vasi e tessere di mosaico in un contesto archeologico risalente al 600-650 d.C.

Se è impossibile dimostrare una continuità tra la produzione vetraria romana e quella veneziana, è tuttavia lecito ritenere che il suo sviluppo nel medioevo sia stato possibile grazie agli scambi culturali e commerciali di Venezia con Bisanzio e il Mediterraneo orientale, mentre si ritiene che, dopo la caduta definitiva di Costantinopoli nel 1453, molti vetrai si siano trasferiti a Venezia per non subire la dominazione ottomana.

A Venezia, la produzione e l'esportazione di perline era attiva già nel 1300, quando le navi della Serenissima imbarcavano merci lungo le rotte per il Mar Nero, le Fiandre, l’Inghilterra, la Tunisia, l’Algeria e il Marocco.

Nel XIV sec. Veneziani e Pisani detenevano il monopolio dei traffici tra Europa e Africa settentrionale, la Berberia, lungo le cui coste disponevano di funduqs (fondachi) e rappresentanti, come a Kairouan, Constantine, Tlemcen.

Gli Europei erano accolti nei porti berberi a patto che non si spingessero all'interno e che agli Arabi fosse lasciato il monopolio del trasporto verso sud di rame, perline di vetro, braccialetti e stoffe che approdavano da Venezia.

Un documento importante a questo proposito sono le memorie di un letterato di Tlemcen, tale Ahmed Ibn Mohammed El Makkari, nato nel 1591, che dà notizia sulle attività commerciali dei suoi antenati. I Makkari facilitavano la traversata del Sahara delle carovane, scavando pozzi e curandone la manutenzione, procurando guide e salvacondotti. Lungo il percorso tra il Mediterraneo e l'Africa sub-sahariana, a Sidjilmessa, e al capolinea di Oualata, al di là del Sahara, altri membri della famiglia si occupavano di ricevere le merci europee, barattandole con oro, avorio, pelli pregiate portate dai regni sudanesi con i quali intrattenevano ottimi rapporti. Le piste carovaniere percorse per mantenere questi contatti tra nord e sud erano già conosciute e ne parla Tolomeo, nella sua Geografia e nell’Atlante del II sec. d.C.

I progressi tecnici della navigazione raggiunti nel XVI secolo, permisero a grandi navigatori come Cristoforo Colombo, Vasco da Gama, Magellano, di aprire con le loro audaci imprese i collegamenti marittimi con l'Europa e quasi tutte le terre del mondo.

Nei ‘nuovi’ territori d'Africa e d'America, il vetro era considerato più raro delle pietre dure e preziose e per questo si aprirono prospettive enormi di guadagno per i mercanti europei che stimolarono l'aumento della produzione delle perline, prima molto limitato a causa dell’esigua domanda dei mercati tradizionali.

Secondo un rapporto del 1632, il profitto dello scambio delle perle di vetro veneziane con le pellicce dell’America settentrionale e con l'avorio, l'oro e gli schiavi d’Africa raggiungeva il 1000%, le perline divennero dunque un elemento importantissimo del commercio internazionale che coinvolgeva le compagnie marittime portoghesi, spagnole, francesi e inglesi.

I vetri veneziani, con altre merci europee, diedero origine a un articolato ciclo commerciale che si avvaleva dell'esperienza tradizionale delle antiche reti commerciali arabe. Le perline di vetro si diffusero in tutto il continente nero, barattate con schiavi da esportare nel Nuovo mondo e con l'avorio che raggiungeva le corti europee. Dalle Americhe arrivavano zucchero, tabacco, argento e oro.

Nel 1525 esistevano a Venezia ventiquattro vetrerie e nel 1606 il registro dei produttori di perle riscontrava ben duecentocinquantuno iscritti. Nel 1764 la produzione delle ventidue principali vetrerie di Murano che avevano assorbito o si erano fuse con altre, era di 19 000 kg di perline la settimana, quasi esclusivamente destinate all'esportazione. Dopo la caduta della Serenissima repubblica di Venezia nel 1797 per mano di Napoleone Buonaparte, l'industria subì una notevole contrazione, anche a causa del trasferimento di molti operai in Francia. Dopo le guerre napoleoniche, le industrie vetrarie veneziane conobbero nuovi splendori, al punto che intorno al 1880-90 le esportazioni verso gli Stati Uniti superavano le 2700 tonnellate l'anno. Dopo la guerra civile americana e con la fine della tratta degli schiavi, aveva inizio l'epopea coloniale in Africa con un conseguente aumento della richiesta di perline, considerate valida moneta di scambio, come prima le conchiglie cowrie.

La produzione veneziana di perline era fortemente influenzata dai modelli egizi e romani, non solo nel disegno e nel colore, ma anche nella tecnica di produzione che rimase immutata fino al tiraggio delle canne cave e all'invenzione dello stampaggio. Ritorna così l'uso delle perline a rosetta, a mosaico o millefiori e monocrome sfaccettate. Furono anche riproposti modelli arabi che a loro volta si rifacevano all'arte vetraria mesopotamica e meroitica. Appartengono a questa tipologia le perline a piumetta, a occhio e a filatura scritta. Nei mercati e nei siti archeologici medioevali africani, si ritrovano perline arabe del XI-XV sec. d.C. a motivi mesopotamici e mediterranei, oppure veneziane del XIX-XX sec d.C. con motivi romani ed egiziani; la tradizione continua ancora con la moderna produzione indiana e africana in Ghana, Nigeria e Costa d'Avorio.

Il successo continentale dell'industria vetraria veneziana dipese anche dalla capacità di adeguarsi ai gusti dei vari mercati locali e di commisurare la produzione alla domanda. Dato che i gusti si differenziavano nelle differenti regioni e tra le diverse etnie, anche nello stesso territorio, la varietà di forme, decorazioni e colori fu enorme, con più di centomila tipi di perline prodotti a Venezia.

Ogni caratterizzazione veniva definita su precisa indicazione della tribù che forniva un dato prodotto. La documentazione raccolta al Museum of Mankind di Londra consente d’identificare le perline destinate all'acquisto dell'oro in Africa occidentale che erano prevalentemente gialle con motivi a occhio e a filatura scritta; quelle per l'avorio in Africa centrale erano monocrome, prevalentemente rosse e turchesi; quelle boeme, impiegate per l’acquisto degli schiavi, erano biconiche o cilindriche, sfaccettate, quasi tutte blu.

 

I materiali

I primi esempi di perline di produzione africana sono frammenti circolari del guscio delle uova di struzzo risalenti al 10 000 aC, ritrovati in siti archeologici di Libia e Sudan. Spesso sono state utilizzate anche le cipree (Cypraea), o cowrie, importate dall’Oceano Indiano, conchiglie d’uso corrente come moneta e come ornamento, prevalentemente femminile, dato che nell’arte africana rappresentano la vulva e, per traslato, il linguaggio verbale.

Nella zona di Nok, in Nigeria, sono stati ritrovati grani di pietra risalenti al primo millennio aC e perline di latta a forma di conchiglia. A Jenne-Jeno, antico centro culturale del Mali, in siti datati tra il 300 aC e il 200 dC, si sono rinvenute perline di vetro risalenti al periodo egiziano-tolemaico (304-30 aC) che si ritiene siano giunte con le carovane del Sahara. Tra gli Yoruba, in Nigeria, centri di lavorazione delle perline hanno prosperato a Ilorin sin dal 1830. Gli artigiani acquistavano pietre di agata, corniola e diaspro rosso dalle carovane trans-sahariane e le lavoravano. Nel XV secolo, gli artigiani del regno del Benin utilizzavano grani di corallo forniti dai Portoghesi per realizzare sontuosi abiti e paramenti per i loro re. Presso i Baule, in Costa d’Avorio, veniva modellata la creta per creare stupende perline di terracotta, con incise scanalature regolari e parallele. È stato usato anche il metallo estratto e lavorato in loco e ancor oggi gli Akan del Ghana e della Costa d’Avorio portano perline d’oro realizzate con la tecnica della fusione a cera persa. Gli artigiani rompevano il vetro che fondevano per ricavarne i vaghi. A Ife, in Nigeria, patria spirituale degli Yoruba, dal IX secolo dC si è sviluppata un’importante attività di lavorazione delle perline di vetro importato già in epoca medioevale dall’Europa e dal Medio Oriente. In Sud Africa, la lavorazione delle perline ha prosperato a Mapungubwe, dal 600 fino al 1200 dC.  Tra i Krobo del Ghana e i Nupe di Bida, in Nigeria, è ancora ampiamente diffusa la lavorazione di perline apprezzatissime in tutta l’Africa occidentale. Per ottenere la colorazione desiderata, i Nupe fondono il vetro colorato in piccole fornaci di creta alimentate da fuoco a legna. Con aste di ferro conferiscono al vetro fuso la forma desiderata, impreziosendo i vaghi ancora caldi con una sottile striscia decorativa di vetro bianco fuso.

Nel 1911, l’etnologo tedesco Leo Frobenius (1873-1938) ha documentato le tecniche di lavorazione degli artigiani di Bida; altri lo hanno seguito, allargando gli orizzonti geografici delle ricerche e approfondendo le conoscenze estetiche e simboliche sulle perline. Uno dei più appassionati cultori e raffinati collezionisti di questa arte delicata e fragile è oggi Augusto Panini che da decenni dedica alla ricerca e allo studio della storia e dell’estetica delle perline numerose spedizioni in Africa occidentale, specie nel Mali. Piccole perline di vetro opaco dall’India sono state ritrovate in prossimità delle coste orientali e meridionali dell’Africa, in siti risalenti al 200 dC e nel maestoso complesso fortificato di Great Zimbabwe, provenienti dalla foce dello Zambesi, zona d’attracco di Arabi e Portoghesi. A partire dal XV secolo, gli Europei importarono in Africa milioni di perline di vetro da Italia, Boemia e Olanda, dai minuscoli vaghi dai colori brillanti, grandi quanto un seme che non superano i tre millimetri di diametro, ai grani più grandi a chevron (la forma dei galloni militari) che possono raggiungere gli otto centimetri. Alcune vetrerie europee, basti citare Murano, si specializzarono nel commercio di perline con l’Africa, dotandosi di un vastissimo assortimento, le perline dovevano corrispondere ai gusti, alla cultura e alle credenze religiose delle varie tribù. Le trading cards, sorta di cataloghi e campionari, consentono oggi agli studiosi di identificare e datare i vari tipi. Le perline chevron, prodotte soprattutto a Murano, ad esempio, hanno avuto particolare successo in Africa occidentale.

Ma sono soprattutto i minuscoli vaghi a forma di seme che hanno dato origine alle lavorazioni più ricercate.

Le tecniche utilizzate in Africa sono assai varie. Le perline sono infilate su fibre vegetali o filo di ferro per ottenerne braccialetti e collane o cucite su un supporto di fibra, tela o cuoio, come fanno le ‘Ndebele. Nel Camerun gli artigiani ricoprono le sculture di legno di tela per cucirvi i fili di perline con il metodo della ‘cucitura lenta’ che consiste nell’infilare le perline su un filo molto fine per poi cucirlo ogni cinque vaghi al tessuto di supporto.

 

Perline di produzione africana

A questo gruppo appartengono le perline di quarzo siliceo, cornalina, agata e conchiglia fossile. Prodotte in epoca preistorica, nel neolitico, alla fine del periodo del Sahara umido all'inizio della desertificazione, quando i pastori del Sahel occupavano un territorio ancora fertile e ricco di acqua, prima di essere costretti al nomadismo dalle mutate condizioni ambientali.

Si tratta di perline ancora molto diffuse tra le popolazioni nomadi e scambiate nei mercati di tutta l'Africa. I discendenti delle popolazioni del Sahel che hanno continuato per millenni a spostarsi a sud del grande deserto in cerca di pascoli per le proprie mandrie raccolgono, nel loro girovagare tra le dune in movimento, perline affioranti da antiche sepolture o da insediamenti preistorici che la sabbia aveva coperto e preservato per secoli.

È difficilissimo determinare l'antichità di queste perline. Infatti, accanto a quelle raccolte nel deserto, ne sono presenti altre, lavorate o rilavorate in epoca più o meno recente, con la stessa materia prima delle perline neolitiche.

A questi tipi, ripresentando gli stessi interrogativi, appartengono le perline di granito grigio scuro marmorizzato che si trovano nella regione di Hombori del Mali e presso i Dogon che vi attribuiscono prodigiose facoltà magiche di protezione personale, specie se hanno fatto parte del corredo di qualche hogon (sacerdote) o féticheur (stregone).

Dal XVI sec. si ha notizia della produzione di perline di vetro nell'Africa subsahariana, negli odierni stati di Ghana, Mauritania e Nigeria. Qui, nella città di Bida, si perpetua la tradizione dell’utilizzo di vetro di recupero per produrre perline monocrome di fattura grossolana, ma di notevole suggestione, oltre alle grosse perline cilindriche e sferiche ad imitazione di corallo, ambra e turchese.

L’etnia Krobo del Ghana fabbrica perline gialle a pasta opaca decorata con motivi descritti rossi, blu e neri, denominate Bodon, molto ricercate per le loro proprietà magiche e d’antica tradizione, pare ne esistano esemplari risalenti al XVI sec. Da Kiffa, in Mauritania, provengono le omonime perline realizzate con una tecnica particolare: su una base di vetro opaco fuso a goccia, partendo probabilmente da vetro rigenerato, vengono ‘scritti’ motivi a occhio con decorazioni geometriche dalla policromia molto accesa a base di puri rossi, gialli e blu.

 

Arte regale

Tra i lavori più complessi e interessanti con le perline, le corone dei re Yoruba presentano una struttura conica leggera con struttura a cesto, attorno alla quale l’artigiano avvolge del cotone inamidato in foggia di visi umani che raffigurano gli antenati. Sulla superficie così ottenuta vengono applicate figure di uccelli di perline che richiamano il mondo degli spiriti e la facoltà del re di mediare tra il regno degli spiriti e quello degli uomini, infine, la corona è ricoperta di perline dai colori contrastanti, mentre un velo di fili di perline cela il volto del re.  Tipiche del regno di Bamum erano le sculture di perline, le più antiche risalgono all’inizio del XIX secolo quando il piccolo stato di Bamum divenne il più importante dei Grassfields del Camerun. Le piccole perline a forma di seme (memmi) erano rarissime e dovevano essere importate dalla costa del Camerun e dalla Nigeria. Le conchiglie di ciprea (mbuum) erano altrettanto ricercate e assunsero presto la funzione di moneta, tanto che ancor oggi si usa lo stesso termine per indicare il denaro. Il re Bamum controllava distribuzione e uso di perline e conchiglie di ciprea, ma quando, verso la fine del XIX secolo, aumentò la loro disponibilità, fece trasferire gli artigiani a palazzo, dove lavorarono solo per lui e per i dignitari. Uno degli oggetti più rinomati sono gli scacciamosche (sa) di coda d’antilope con impugnatura di perline, utilizzati dai re durante le cerimonie, uno strumento molto ambito in tutta l’Africa che denota autorità e poteri magici, basti pensare alle tipiche foto di Yomo Kenyatta e di altri politici africani che brandiscono il tail-swish e al fatto che la prima cosa che viene rubata dagli indigeni ai cacciatori bianchi è la coda del trofeo.

Spettacolari sono gli abiti e gli ornamenti da cerimonia dei re Kuba del Congo, impreziositi con disegni ottenuti alternando perline colorate (mush) a conchiglie bianche di ciprea (pash intshyeentsh) e lasciando alcuni spazi vuoti. L’abito regale più importante e raffinato è il bwaantshy utilizzato anche come abito sepolcrale. Del peso di circa 90 kg, consiste di una tunica ricamata con perline e conchiglie, diverse cinture pesanti, ornamenti per la cintola, collane e braccialetti di perline e un elaborato copricapo dal quale pende una ‘barba’ di perline. Guanti e scarpe ricamati di perline calzano piedi e mani del sovrano. Dal suo trono vicino ai tamburi decorati con perline (pelambish), il re Kuba appare un monumento di ricchezza, potere, e magnificenza.

 

Ornamenti personali

In Africa, l'infanzia, la maturità, il matrimonio e la vecchiaia sono i vari stadi della vita che è consuetudine contraddistinguere con abiti e ornamenti diversi. Le perline sono così anche un mezzo visivo per rendere manifesta la propria età, l'appartenenza sociale e la gerarchia all'interno della comunità.

Nella regione sudorientale del Sudan, ai primi del 1800, il maggiore Powell-Cotton descrisse le perline cucite su inconsueti dischi di cuoio utilizzati dai Topotha per impreziosire le proprie acconciature, in seguito sostituiti da copricapo, sempre decorati con perline, descritti negli anni Trenta dal capitano G. R. King, realizzati cucendo perline di vetro attorno a una struttura a canestro di pelli animali orlate di pelo.

Tra i Ga-Adangbe del Ghana le perline sono usate da secoli nei riti di passaggio delle ragazze, detti dipo. Le giovani sono coperte di perline dalla testa ai piedi: braccia, gambe, collo, specie i fianchi, a significare il raggiungimento dell’età adulta.

Le donne Masai da sposate portano ricche parure di perline, orecchini e collane in tre parti, con perline di-sposte su fili disposti a spirale. Il rosso è il colore predominante nella parte esterna, cui sono allacciate collanine più piccole, in un marcato accostamento di colori. Le perline degli orecchini sono fissate a una fodera di pelle e l'abbinamento di perline di vari colori nella parte superiore con quelle blu inferiori crea un armonioso accostamento di colori forti. I Masai di Kenya e Tanzania vantano una lunga tradizione nella lavorazione delle perline che nel XIX secolo ricavavano principalmente da materiali grezzi della regione. Quelle bianche da creta, conchiglie, avorio, ossa; quelle nere da ferro, carbone, semi, legno, zucche, ossa, avorio, rame, ottone. Alla fine del XIX secolo giunsero i materiali d’importazione coloniale offrendo una gamma di colori più articolata. Attualmente, i Masai prediligono le perline dai colori uniformi e opachi, con le superfici non decorate e lisce.

Le donne ‘Ndebele del Sud Africa sono senza dubbio tra le più originali interpreti della tradizione artigianale dell'Africa australe. La lavorazione delle perline si sviluppò dopo la guerra di Mapoch (tribù Ndzundza nello Mpumalanga, Sud Africa) del 1882, quando i coloni sconfissero gli ‘Ndebele, trasferendoli in altre zone dell'Africa meridionale. Gli ‘Ndebele mantennero allora una forte coscienza di gruppo e la loro arte divenne un modo per affermare la propria identità. Le case furono dipinte a motivi geometrici e colori primari e tutti iniziarono ad indossare quotidianamente abiti e ornamenti di perline, elemento distintivo della loro cultura. Presso gli ‘Ndebele, realizzare l’abbigliamento decorato con perline è prerogativa delle donne, e le tappe della loro vita sono caratterizzate da diversi tipi di indumenti. Dopo la cerimonia nuziale, la donna riceve lo jishogolo un grembiule grezzo costituito da cinque riquadri, chiamati ‘vitelli’ con riferimento alla capacità della donna di procreare, che ricama con perline che formano motivi incantevoli, secondo schemi geometrici molto arditi.

 

Moda e mercato delle perline

La tradizione di creare splendidi oggetti d'arte utilizzando le perline è diffusa anche nell'Africa contemporanea. Gli artigiani realizzano tuttora le corone per i re onorifici Yoruba, Bamum e Kuba, le donne etiopi, Zulu,  ‘Ndebele e Masai vanno ancora fiere dei propri vestiti e ornamenti di perline. In molte regioni dell’Africa, fortunatamente, il culto del passato, le tradizioni tribali, i rituali atavici, le credenze magiche fanno ancora parte integrante del sistema sociale e le perline costituiscono un punto di riferimento estetico e simbolico importante.

Tuttavia, le tecniche e il gusto continuano ad evolversi e gli artisti africani sperimentano nuovi materiali, come le perline di plastica importate da Europa e Asia, e si ispirano a temi moderni, come aerei, auto e quante altre diavolerie gli stranieri hanno saputo affibbiare all’Africa. 

Il successo odierno delle collane di perline africane è dovuto alla loro rivalutazione come insostituibile testimonianza d’arte e di cultura da parte di scienziati e appassionati collezionisti che hanno presentato questo aspetto, troppo spesso trascurato, della vita africana in sedi museali ed espositive di primo rango. Inoltre, gli Africani della diaspora residenti in USA ed Europa hanno preso coscienza dell’importanza dei valori culturali tradizionali che cercano di riscoprire e rivalutare, e, non da ultimo, la moda occidentale ha saputo ispirarsi e attingere alle arti e all’artigianato etnico. Così, le perline europee che venivano turpemente scambiate con gli schiavi oggi alimentano un fiorente mercato in Europa, America, Giappone e sono tema appassionante di collezionismo, studio e ricerca.

 

           

u