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1 - M. Griaule, Dieu d'eau. Entretiens avec Ogotemmli, Paris 1948 (trad. it. Dio d'acqua, Como 1996, p. 40)

2 - R.M.A. Bedaux, M. Raimbault, Les grandes provincies de la céramique au Mali, in Vallées du Niger, cat. della mostra a cura di J. Devisse, Paris 1993, p. 273; Cfr. The Archaeology of Africa. Food, metal and towns, edited by T. Shaw, P. Sinclair, B. Andah, A. Okpoko, London- New-York 1993.

3 - Cfr. Hier et aujourd'hui des poteries et des femmes. Ceramiques traditionnelles du Mali, cat. della mostra a cura di A. Gallay, E. Huysecom, A. Mayor, G. de Ceunink presso il Muséum d'hi- stoire naturelle di Ginevra (24 giugno-20 ottobre 1996), Document du Département d'anthropolo- gie et d'écologie, n. 22, Genève 1996.

4 - L. Desplagnes, Etude sur les tumuli de Killi dans la région de Goundam', in "L'Anthropologie", 14, 1903, pp. 151-172; Idem, Fouilles du tumulus d'El Oualedji (Soudan), in "Bull. IFAN.", 13, 4, 1951, pp. 1159-1173; v. anche A. Lebeuf,V. Paques, Archéologie malienne. Collection Desplagnes, Paris 1970.

5 - Il Sigui, festa itinerante che ogni sessant'anni celebra l'ancestrale perdita dell'immortalità da parte dell'uomo e la conseguente invenzione della morte, culmina nell'intaglio a forma di serpente del tronco di un albero e in un simposio a base di birra di miglio in cui i bevitori siedono sul seggio di maschera; questo particolare sedile, usato solo in questa occasione, è una specie di gruccia a forma di Y che rappresenta il corpo dell'antenato, la cui testa è simbolicamente sostituita dall'uomo che vi sta seduto; cfr. M. Griaule, cit. (nota 1), p. 216-228.

6 - B. de Grunne, Terres cuites anciennes de l'Ouest africain, Louvain La Neuve 1982 (con bibl. precedente completa); M. Rainbault, K. Sanogo, Recherches archéologiques au Mali. Prospections et inventaire, fouilles et études analytique en Zone lacustre, Paris 1991; M. Dembelé, A.M. Schmidt, J. Diderick Van der Waals, Prospections de sites archéologiques dans le delta intérieur du Niger, in Vallées du Niger, cit. (nota 2), pp. 218-232.

7 - C. Plinius Secundus, Naturalis Historia,VIII, XVII; cfr. Aristoteles, Historia animalium, VIII, 28.

8 - La Cultura Djenné era stata circoscritta alle sopraddette città gia in B. de Grunne, Terres cuites..., cit. (nota 6). Nel medesimo testo si proponeva di raggruppare sotto la denominazione stile longilineo di Bankoni le terracotte provenienti dalle aree di Segou e Bamako; solo successivamente si propose di estendere questa denominazione anche alle opere provenienti da Bougouni (B. de Grunne, La statuaire en terre cuite, cat. Galerie Biedermann, Munchen 1982, p.9) e in seguito ancora a tutte quelle provenienti dal territorio meridionale del Mali, comprendente l'area di Sikasso (B. de Grunne, From prime objects to masterpieces, in Rediscovered masterpieces, a cura della Fondation Dapper, Boulogne 1987, pp. 19-22).

9 - M. Di Salvo, Rilievi e osservazioni sull'organizzazione territoriale della valle del Niger, in Tra deserto e savana. Elementi di cultura materiale lungo il Niger, cat. dell'esposizione presso la Pinacoteca Civica di Como (18 dicembre 1993-20 febbbraio 1994), Lugano, 1993, pp.21- 29.

10 - Cfr. infra Apparati. "Bronzi"; A. Blandin, Bronzes et autres alliages, Marignane 1988; L. Garenne-Marot, Le cuivre: approche méthodologique de la métallurgie du cuivre dans les vallées du Niger et au Sud du Sahara, in Vallées du Niger, cit. (nota 2), pp. 320-333.

11 - Cfr. B. de Grunne, Le ultime ricerche sulla scultura in terracotta del Mali, in Terra d'Africa, Terra d'Archeologia. La grande scultura in terracotta del Mali, Djenné VIII-XVI sec., cat. della mostra a cura di C. Dandrieu e C. Depuyper, Firenze 1990, pp. 17-32; cfr. anche Idem, From prime objects to masterpieces, in Rediscovered masterpieces, a cura della Fondation Dapper, Boulogne 1987, pp. 19-22.

12 - "L'idée de la trasformation possibile de l'Homme in Serpent est très répandue", A. Villiers, Les serpents de l'ouest africain, Dakar 1950, p. 60.

13 - Per i "petits pains còniques faites de terre et d'écorces pilée" utilizzati con funzione sia curativa che iniziatica si veda R. Schnell, Sur quel- ques croyances et pratiques ouest-africaines concernant les serpents et les moyens de se protéger de leurs morsures, in "J. de la Soc. des Africanistes", XIX, II, 1949, p. 91.

14 - Cfr. D. Sylla, L'Empire du Ghana. Légende de Wagadou, Paris 1977.

15 - Cfr. A. Leurquin, On the trail of the serpent, in "Tribal Arts", spring 1999, pp. 76-78.

16 - M. Griaule, cit. (nota 1), pp. 39; 41; 44; 69; 71; 106; 138; 150; 158-160; 216-228.

17 - Cfr. J. H. Probst-Biraben, Le serpent. Persistance de son culte dans l'Afrique du Nord, in "J. de la Soc. des Africanistes", III, II, 1933, pp. 289-295.

18 - A. Villiers, cit. (nota 12), pp. 59-69.

19 - L. Desplagnes, Le plateau central nigerien. Une mission archéologique et ethnologique au Soudan francais, Paris 1907, pp. 132-136; 196 (2); 438; 478.

20 - Cfr. M. Museur, Les anciennes civilisation nubiennes, in "J. de la Soc. des Africanistes", XXXIX, 2, 1969, pp. 196-197; E. Fantusati, Antica Nubia. Storia dell'Alta Valle del Nilo, Roma 1999, pp. 113-157; per alcune delle possibili direttrici di diffusione cfr. M. Di Salvo, cit. (nota 9).

21 - P. Huard, L. Allard-Huard, Limite occidentale des influences culturelles transmises au Sahara nigéro-tchadien par le groupe C de Nubie, in "Bull. IFAN", 42,, B, 4, 1980, pp. 671-692.

22 - Soudan . Royaums sur le Nil, cat. della mostra a cura di D. Wildung, Paris 1997 , p 296 n. 218

23 - Dogon Statuary, a cura di H. Leloup, Starsbourg, 1995, pp. 111-128.

24 - ibidem, n.3, n.10

25 - Le stesse due opere vengono infatti più correttamente distinte da quelle Prédogon e indicate come Figure équestre. Delta Inérieur de Niger e Statuette. Delta Inérieur de Niger in Dogon, a cura della Fondation Dapper, Paris 1994, p.37, p. 114.

26 - B. de Grunne, Ancient Sculpture of the Inland Niger Delta and Its Influence on Dogon Art, in "African Arts", 1984, XVII,4, pp. 50-55.

27 - "The poses of the devotees of the Inland Niger Delta are like mudras, symbolic gestures of the hands that in Buddhism act as seals between the deity and the worshipper", ibidem, p. 54.

28 - Cfr. L. Silburn, La Kundalini o l'energia del profondo, Milano, 1997.

29 - infra, nota 8.

30 - F.H. Nesmith Jr., The Jenne bronze question, in "African Arts", 1984, XVII, 3, p. 54-62.

31 - B. de Grunne, From prime objects..., cit. (nota 11), pp. 21-22.

32 - infra, nota 8

 

 

Dalla terracotta alla scultura lignea

"La forza vitale della terra è l'acqua. Dio ha impastato
la terra con l'acqua. Nello stesso modo, egli ha fatto il
sangue con l'acqua. Anche nella pietra vi è questa forza,
perché l'umidità è dovunque."
1


Oltre che nell'Antico Testamento e nel mito greco di Efesto, il motivo della divinità che plasma gli esseri viventi nell'argilla è riscontrabile come attributo del dio Niu-kua della tradizione cinese, del dio-vasaio Khnum della teologia egizia di Esna e del sumero/babilonese Ea.
Così è anche nella struttura mitica dei Dogon, presso i quali si tramanda come il dio primordiale Amma diede vita alla prima coppia umana lanciando dallo spazio pallottole di argilla incandescente sopra una vagina e un fallo modellati a loro volta nell'argilla umida e poggiati sulla terra.
Oltre che un topos antropogonico, la lavorazione di questo materiale è al contempo anche una delle più precoci manifestazioni della perizia tecnica e artigianale dell'uomo; per l'Africa occidentale da attestarsi con i reperti antichi di 15.000 anni rinvenuti nei massicci dell'Air in Niger e dell'Hoggar in Algeria. Invenzione che contestualmente al bacino del Delta Interno del Niger si risolse, già due millenni prima degli albori del Neolitico, nella produzione di vasi a forma globulare, sferica, emisferica o ovoidale, decorati a motivi geometrici ottenuti per incisione o impressione
2, perpetuatasi sostanzialmente immutata non solo fino ai regni medioevali e pre-coloniali, ma riscontrabile a tutt'oggi presso i Dogon, i Bamana, i Marka, i Songhai, i Peul, i Bozo, i Bobo3; con la sola cesura riferibile al vasellame proveniente dalla regione dei laghi4, caratterizzato dalla variante tecnica di ascendenza punica dell'ingobbio rosso e da quella tipologia detta dei "piedi di letto", che in realtà nulla ha a che fare con le funzioni domestiche e che per quanto attiene alla variante tronco-conica sormontata da una sorta di mezzaluna, o da una V, sembra invece attestarsi quale tipologia di statuetta votiva acefala con le mani sollevate al cielo, in stretta dipendenza proprio dai tofet punici di Cartagine raffiguranti il cosiddetto idolo di Tanit, e quindi, di rimando, in connessione iconografica e simbolica con le statuette cretesi del periodo minoico neopalaziale tardivo e con il seggio di maschera impiegato durante la cerimonia Dogon del Sigui 5.
Assimilabilità tecnica, formale e decorativa tra il vasellame che emerge dagli scavi e quello realizzato dalle etnie contemporanee che, in base ai criteri analitici del confronto etnoarcheologico, implica la possibilità di aumentare le conoscenze inerenti i reperti archeologici giunti a noi privi di un definito contesto tecnologico e sociologico. Grazie ad una rete di interconnessioni e di comparazioni che facilitano la comprensione dei fenomeni attuali alla luce delle testimonianze dell'evoluzione storica, è possibile far sì che le tracce frammentarie di quest'ultima non restino balbettanti vestigia di un passato celato nell'oblio ma frammenti di un linguaggio e di una cultura la cui trama comincia lentamente a ricomporsi proprio in relazione alle attestabili connessioni con la realtà contemporanea. Senza rischiare di commettere l'errore di voler postulare, invece che di verificare, il grado di permanenza di strutture sociali tradizionali tra culture trascorse e altre tuttora attive, il metodo comparativo agente alla convergenza tra archeologia ed etnografia si rivela tuttavia come lo strumento più adeguato a far sì che l'aura di mistero si diradi definitivamente anche da quella statuaria in terracotta proveniente dai territori afferenti al Delta Interno del Niger, la cui progressiva scoperta nel corso della secondametà di questo secolo
6 ha permesso agli occidentali di valutare l'inveterata pregnanzadel pliniano "semper aliquid novi Africam adferre" 7.
Novità che, riesumando gli stranianti canoni estetici con cui le Avanguardie Storiche già guardarono alla scultura lignea africana, saremmo tentati di descrivere come un crogiolo di forme fantastiche, frutto di un'immaginazione foriera di mostri ibridi, antropomorfi, zoomorfi, antropozoomorfi, modellati nell'argilla con la stessa libertà d'invenzione di uno sfrenato surrealista o alla stregua del groviglio di sirene e grilli, prodigi e bizzarie dell'altrettanto ben poco fantastico Medioevo nostro. Risoluzione fascinosa che rigettiamo per rilevare in prima istanza come questi oggetti attestino invece la diffusione di una cultura transetnica diffusasi tra il IX e il XVII secolo della nostra era, e quindi coeva alla dominazione islamica, capace di risolversi in una produzione in prima istanza differenziata tipologicamente in base alle aree di provenienza (Cultura Djenné, ovvero del territorio a nord del Delta, tra le città di Mopti, Massina e Djenné, e la Cultura Bankoni, ovvero dei territori a sud del Delta, tra le città di Segou, Bamako, Bougoni e Sikasso
8) ma tuttavia uniformemente sottesa ad un marcato culto per il valore guerriero e ad una profonda fede in una dimensione trascendentale, nuministica e animistica ad un tempo. Assi portanti, trama e ordito delle conquiste materiali, sociali e artistiche che hanno dato vita ad un crogiolo culturale complesso, elaborato dalle varie etnie che dall'altomedioevo e fino all'era precoloniale si avvicendarono nel controllo di quel Delta Interno e delle regioni meridionali dell'attuale Repubblica del Mali che videro il sorgere degli imperi Ghana, Mali, Songhai e Bambara, la cui storia dettagliata è ancora da scrivere, tenendo conto delle possibili connessioni altomedioevali, necessariamente da approfondire, con i flussi migratori provenienti dall'area afferente alla valle del Nilo 9 e del fatto che nei secoli successivi funse da cerniera di transito commerciale tra le regioni tropicali del sud, da cui provenivano oro, avorio e schiavi, e quelle transsahariane del nord, apportatrici di merci preziose come sale, vetri, libri e tessuti.
Così apparentemente fantastiche nella resa delle fattezze delle figure quanto realistiche nell'attenzione prestata alla riproduzione di collane, bracciali, orecchini e pugnali, le sculture in terracotta assurgono quindi a testimonianza di culture che anche i dati archeologici attestano come depositarie di ancora misteriose e raffinate tecniche metallurgiche con cui forgiare bracciali, collane ed altri ornamenti in bronzo e laiton
10 e come dedite al commercio con regioni che ci resterebbero sconosciute se la terra non ci restituisse quelle collane composte da vaghi in pasta vitrea e in materiali vari, riconducibili all'area di produzione in base alla tecnica e alla tipologia. Veri e propri "fossili guida" che, unitamente alle scarne informazioni stratigrafiche e di contesto, ci permettono di accrescere le conoscenze inerenti l'ambito di destinazione della statuaria in terracotta ma insufficienti per definirne quella funzione simbolica e rituale la cui ricostruzione è quasi integralmente da affidarsi alla ricognizione etnografica di leggende e riti tuttora attivi presso i popoli che abitano il plateau e la falaise di Bandiagara, la pianura di Seno e le regioni a nord e a sud del Delta Interno.
Concludere che i cavalieri possano rappresentare effigi di antenati guerrieri divinizzati o che le figure inginocchiate siano riconnettibili a riti articolati in preghiere gestuali e sacrifici cruenti
11, dare un senso alle figure antropozoomorfe cinte da collari o alla caratteristica dei bulbi oculari circoscritti in palpebre multiple (stato di possessione mistica?), sono più o meno svelati misteri a cui ascrivere anche quello inerente l'emblematica ricorrenza, soprattutto nelle aree di Djenné e Mopti, dei serpenti che avvolgono le membra e che fuoriescono dagli orfizi del corpo o dalle imboccature dei vasi. Visualizzazione simbolica che tocca i vertici della suggestione con gli esseri antropomorfi colti nelle fasi di progressiva metamorfosi in serpenti (lingua tra i denti e squame sul corpo fungono da sintomi)12 oppure ricoperti di protuberanze indicabili, non come pustole, ma più verosimilmente come enfatizzazione rituale di un possibile rimedio contro la morsicatura dei serpenti praticata nelle società iniziatiche dei "charmeurs de Serpents"13; sfera simbolica la cui pregnanza di senso è da definire soprattutto approfondendone le implicazioni con la leggenda dell'antenato-serpente connessa alla fondazione dell'impero di Wagadou14 e con l'ambito cultuale e mitologico dei Peul e dei Dogon, presso i quali il serpente risulta in connessione, rispettivamente, con una sorta di pesce lacustre chiamato silurus15 e, oltre che con la complessa congerie di principi primigeni inerenti l'immortalità, la rinascita e l'umidità16, con il culto del serpente mitico, il lebé, celebrato dall'hogon, la somma autorità spirituale all'interno del popolo Dogon. Misterioso e ancestrale culto del serpente diffuso in tutta l'Africa del nord17, quasi appannaggio emblematico dei popoli che hanno abitato e abitano nei territori afferenti il Delta Interno del Niger18, per tradizione orale introdotto in quest'area da fantomatici cavalieri nubiani riuniti in un clan appunto chiamato del serpente19, la cui puntuale ricognizione circa le dinamiche di diffusione permetterebbe di determinare con maggiore certezza i prodromi di una cultura che effettivamente sembra aver tratto impulso posteriormente a quel IV secolo d.C. che nell'alta valle del Nilo vide il crollo dell'impero meroitico, l'ascesa di quello di Axum e il formarsi dei regni cristiani di Nubia, con le conseguenti massiccie migrazioni di popoli, anche verso occidente20. Ed anche se le ancora troppo scarse conoscenze inerenti i contatti tra Africa orientale e occidentale ci permettono di avanzare soltanto ipotesi, è da valutarsi con attenzione la possibilità che alcuni di questi flussi migratori possano essersi diretti verso i territori bagnati dal Niger, i cui contatti con l'area nilotica sono attestabili già dall'età del ferro21 fino alla tarda epoca meroitica22, contribuendo così in maniera determinante alla formazione dell'ormai quasi bimillenaria cultura sorta sulle terre fertili circostanti le attuali città di Djenné e Mopti. Cultura che potremmo proporre di chiamare suggestivamente degli uomini-serpente, se i criteri dell'analisi stilistica e della datazione scientifica dei materiali non ci imponessero di valutarne l'appartenenza al medesimo substrato culturale che produsse quelle opere di scultura lignea inizialmente indicate estensivamente come Proto-Dogon e poi più correttamente enucleate intorno alla definizione Djennenke23. Stringenti caratteristiche tipologiche, unitamente ad una assimilabilità stilistica che permane nonostante il passaggio dalla modellazione dell'argilla all'intaglio del legno ed alla coevità determinata dalla concordanza dei dati cronologici ottenuti con gli esami al C14 con quelli ottenuti tramite la termolunimescenza, fanno sì che soprattutto due famose sculture, una maternità e un cavaliere pubblicati dalla Leloup come Djennenke24, assurgano in realtà a trade union tra le terracotte emerse nella zona di Djenné-Mopti e quello stile Djennenke che si pone quale prodromo alla grande statuaria Dogon25. Trade union sancito dal punto di vista formale-artistico ed ulteriormente avvalorato dalle ricerche etnografiche condotte da de Grunne a metà degli anni Ottanta, volte a stabilire una parzialmente, ed inizialmente, comprovata assimilabilità di riti e di concezioni cosmologiche tra la cutura espressa dagli autori delle terracotte e quella dei Dogon26; soprattutto, e con grande attendibilità di conclusioni, per quanto attiene all'aver identificato nelle varie tipologie di figure in terracotta accosciate e con varie posizioni delle mani e delle braccia il più vasto archivio di pose rituali per la preghiera (praticate tuttora, ma in numero ridotto, dalle etnie che popolano il Delta e la falesia) assimilabili ai mudras del Buddhismo27, o forse ancora più sorprendentemente, data la connessione con il simbolo del serpente (spesso localizzato proprio lungo la colonna vertebrale), con le posture dello yoga tantrico che mirano al risveglio e al dominio della kundalini28.
E se dall'ormai desueta cultura Djenné si distinguono così la cultura Proto-Dogon o Djennenke, circoscritta alle aree circostanti le città di Mopti e Djenné, e quella particolarmente misteriosa degli esseri zoomorfi ed antropozoomorfi emersi nell'area circostante Massina e chiamata di Tenenkou, anche tutte le opere emerse nel territorio meridionale e occidentale del Mali, a sud del Delta, necessita una classificazione tipologica e stilistica che risulti più efficace dell'ormai desueto ed impreciso termine di cultura Bankoni. Proposto la prima volta da de Grunne per enucleare le terracotte caratterizzate da uno stile longilineo il cui primo esemplare venne rinvenuto in un quartiere periferico di Bamako, chiamato appunto Bankoni, questo termine ha assunto nel corso degli anni la funzione estensiva di enucleare indifferentemente tutte le opere in terracotta provenienti dal territorio a sud del Delta, tra le aree circostanti le città di Segou, Bamako, Bougouni e Sikasso
29. Territorio attualmente, e perlomeno fin dall'epoca altomedioevale, abitato dal popolo Bamana; è da questa coincidenza territoriale e alla luce degli studi volti a stabilire un'interconnessione stilistica tra gli oggetti archeologici emersi e alcuni ferri30 e piccole sculture lignee Bamana31, che viene la proposta, da noi condivisa, di abbandonare il termine cultura Bankoni e di conferire ai rinvenimenti archeologici provenienti da questo territorio la dicitura estensiva di proto-Bamana, con un'uteriore specifica inerente l'area precisa di provenienza (Segou, Bamako, Bougouni, Sikasso, Doila, Kolokani, ecc.). Nel tentativo di enucleare delle tipologie stilistiche uniformi su base territoriale, attestanti probabili culture differenti e all'interno delle quali sarà in futuro determinante poter individuare degli stili personali o "di bottega", si possono infatti già indicare quella longilinea di Bankoni, effettivamente riferibile alla sola area di Bamako e rispondente alla tipizzazione già indicate da de Grunne32, dalla quale si distingue quella di Bougouni, con forme più massiccie dei volumi dei corpi in contrasto con una resa minuta delle teste, i cui tratti sono indicati sommariamente tramite impressione dell'argilla; quella di Sikasso, con la ricorrenza di figure con visi circolari e occhi spalancati, e quella riferibile all'area di Segou, caratterizzata da figure antropomorfe anche di grandi dimensioni con piani facciali rivolti verso l'alto, con nasi possenti e larghe orecchie, con le braccia ricoperte di bracciali e abbondanti scarificazioni sul petto, sul ventre ed in particolare intorno all'ombelico prominente.

Lo stato attuale degli studi e delle ricerche non ci permette di giungere affrettatamente a delle conclusioni che oggi risulterebbero già indicativamente plausibili ma scientificamente azzardate.
C'è ancora molto da lavorare per poter delineare con chiarezza il vero senso dell'evoluzione e delle interconnessioni sociali e artistiche delle culture che hanno caratterizzato gli ultimi mille anni di storia del vasto territorio afferente al Delta Interno del Niger.
E' per questo motivo che affidiamo le conclusioni di questa disamina a chi questo territorio lo vive, attraversandolo da lungo tempo quale homme de terrain, lungo gli ancora misteriosi chemins de l'inconnu:
<<Esiste dunque una relazione tra le opere in terracotta e in bronzo del Delta Interno del Niger e le sculture in legno e in ferro utilizzate ancora ai nostri giorni dalla gran parte delle popolazioni del Mali: Dogon, Bozo, Bamana, Marka, Malinké, Senufo, Minianka, Bobo?
Se il materiale di provenienza archeologica, allo stato attuale delle conoscenze, risale ad un periodo compreso tra il X e il XVII secolo della nostra era, gli oggetti rituali e di uso comune scolpiti ed utilizzati quotidianamente o nel contesto tradizionale delle attuali etnie del Mali sono generalmente collocabili nel periodo posteriore al XVIII secolo; tranne che per alcune opere riferibili alle popolazioni Dogon, coeve delle terracotte e giunte sino a noi grazie ad eccezionali condizioni di conservazione naturale, sul fondo delle grotte della falaise di Bandiagara.
I progressi della ricerca scientifica, in particolar modo etnologica, giungeranno mai, dopo decenni di interrogativi e di supposizioni rimasti senza risposte certe, a meglio definire il senso reale di queste sculture di uso comune o rituali (e pertanto il progetto che le sottende), così come quali rapporti intercorrano tra queste e le suddette opere archeologiche?
E d'altronde, si può applicare allo studio sia delle antiche che delle moderne civilizzazioni africane i sistemi di pensiero e di ricerca basati su una concezione intellettuale dell'Uomo, dell'Universo e della Vita che in realtà restano esclusivamente occidentali?
Non bisognerebbe lasciare un più ampio spazio allo studio propriamente plastico delle opere, e pertanto all'etnografia che è la scienza descrittiva delle etnie, per tentare di comprendere meglio quello che è stato creato?
Concentrando gli studi sulle strutture linguistiche, sociali ed economiche delle civiltà del passato e delle etnie più vicine a noi, la scienza e l'etnologia si dimenticano che le produzioni artistiche non sono da considerarsi alla stregua di strumenti di lavoro efficaci solo per le loro ricerche, quanto invece delle opere d'arte sensibili, depositarie di un senso e di un progetto fondati sia l'uno che l'altro su ben altro che il mero bisogno materiale e l'espressione intellettuale, mentale, di questo bisogno.
Optando per lo studio delle forme, per la descrizione degli elementi caratteristici dei differenti gruppi umani, il ricercatore che si avvale di un criterio di analisi plastica o etnografica si apre invece a quella sensibilità dell'opera che in ultima istanza è la stessa dell'artista che l'ha creata, dando così libero corso alla sua propria sensibilità.
Grazie allo sguardo attento e allo studio descrittivo delle opere e delle etnie, gli è possibile percepire intuitivamente, ancor prima che organizzare e tradurre in maniera riflessiva, le loro ragioni d'essere, il loro senso intrinseco, nonchè il progetto da cui scaturiscono.
E peraltro, come potrebbero questo progetto, questo senso e questa ragion d'essere giungere a compimento senza l'intervento dell'energia, quell'energia senza la quale ogni realizzazione naturale o umana resta vana?
La differenza tra creazione occidentale e creazione africana verte sul fatto che se la prima è generalmente fondata su una riflessione intellettuale, su un'attitudine mentale, la seconda è fondamentalmente l'espressione di un'energia, di una forza percepita intuitivamente e perfettamente rivelatrice di un'attitudine spirituale; attitudine che il progetto e il senso intrinseco dell'opera o di un comportamento portano inevitabilemente con loro.
Cercando di percepire quell'energia che impregna tutta la crazione africana, è probabile che ai ricercatori si apriranno nuove vie di esplorazione che, parallelamente alla ricerca scientifica ed etnologica, contribuiranno enormemente alla comprensione di opere così differenti da quelle delle società occidentali.
E potrebbe essere che proprio grazie a questo tipo di ricerca si possa giungere a svelare quella connessione, che a tutt'oggi difetta, tra le opere appartenenti alla storia antica del continente africano, come quelle del Delta Interno del Niger, e quelle scaturite dal passato recente e ancora utilizzate dalle popolazioni a noi contemporanee.
Se volesse manifestarsi a parole, l'energia si rivelerebbe dicendo di essere "spirito, energia, forza invisibile che impregna tutte le cose dell'universo.
In terra d'Africa, gli uomini non hanno mai smesso di cercare di captarmi. Da tempi immemorabili insegnano ai loro bambini a conoscermi, a rispettarmi e a canalizzarmi, affinché contribuisca pienamente all'evoluzione del loro ambiente naturale; e così quelli che mi percepiscono meglio sono designati per assistermi in questo slancio e sono incaricati di scolpire le statue, le maschere ed altri oggetti di legno e di ferro che a loro volta fungono da ricettacolo affinché io possa meglio agire in questo mondo composto di materia grossolana.
Tramite queste creazioni, immersi nella tensione e nel segreto delle iniziazioni, dei culti, dei riti o delle festività del villaggio, uomini e donne penetrano insieme nelle movenze sacre del mio infinito.
Al suono dei tamburi, dei cordophones, dei flauti e dei canti, al ritmo frenetico delle danze, festeggiano con favore la loro unione con l'altra dimensione dei vivi e dei morti">>.

Luca Tomìo